Zero (qui il trailer) è la nuova serie italiana prodotta da Netflix. Ed è francamente difficile parlarne. È un prodotto strano e innovativo sotto diversi aspetti che solleva diverse impressioni che è necessario far sedimentare accuratamente.
La serie è interessante: questo è sicuro, ed è da qui che vogliamo partire. La storia funziona, e prende sin dall’inizio. Il protagonista, un giovane rider di colore della periferia milanese, potrebbe sembrare estraneo per uno spettatore medio. La serie riesce però in maniera sorprendentemente fluida a farci immedesimare nel suo mondo. Perché, in fondo, Omar (Giuseppe Dave Sake) è un ragazzo come tanti altri ragazzi italiani e non solo. Le sue aspirazioni, i suoi problemi, sono comuni a quelli di tanti altri spettatori, sebbene nella serie la sua appartenenza ad un preciso contesto sociale e geografico sia un focus centrale della narrazione.
Non solo Omar/Zero è ben caratterizzato, ma tutti i personaggi lo sono. E non è certo scontato per una serie in fondo corale, in cui il protagonista non è solo Omar, ma tutto il gruppo di suoi coetanei che gli ruota intorno. Sicuramente, oltre che degli sceneggiatori e dei registi, il merito è anche degli attori. Attori che sebbene giovani e alle prime esperienze importanti, si dimostrano certamente talentuosi e adatti al ruolo che vanno a ricoprire.
La cosa più interessante sotto una prospettiva più ampia, forse, è proprio il protagonista: il cui vero nome è Omar, e Zero è il suo “nome da supereroe” per così dire, la sua identità segreta. In Italia non abbiamo certo una florida tradizione supereroistica nei fumetti. Certo qualche cosa di interessante c’è stato, e penso soprattutto a Paperinik, sfociato in anni più recenti nel progetto di PKNA (Paperinik New Adventures). Ma Paperinik, come i personaggi Bonelli (che sono forse, insieme al suddetto Paperinik, il prodotto nostrano più vicino ai comics supereroistici americani) non ha superpoteri.
Zero, dal canto suo, un superpotere ce l’ha. Può diventare invisibile. Ma non assomiglia certo a Superman. Ci prova a fare il raddrizzatore di torti, ma non gli riesce troppo bene. In quella che sarebbe dovuta essere la sua missione più importante sparisce per andare appresso a una ragazza (Beatrice Grannò), e non è lui che decide come usare i propri poteri: un po’ perché non riesce a controllarli bene, un po’ perché non è certo lui il leader del gruppo.
Però è un personaggio decisamente interessante in prospettiva, come dicevamo. Interessante perché sembra inserirsi nello stesso filone di altri supereroi italiani come l’Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) di Lo chiamavano Jeeg Robot (Gabriele Mainetti, 2015, e non a caso sceneggiato da Menotti, che ha lavorato anche a Zero) e Il ragazzo invisibile (Gabriele Salvatores, 2014).
Non è questa la sede per una analisi approfondita del fenomeno, ma ci verrebbe da dire prima di tutto che questi supereroi sono più Marvel che DC: supereroi con superproblemi, come l’Uomo Ragno. Ma da buona tradizione americana, i superproblemi del Ragno di Quartiere erano di tipo per così dire personale: e se Zia May scopre che sono Spider-Man? Amo di più Gwen o Mary-Jane?
I superproblemi di Ceccotti e Omar sono di altra natura: la povertà, l’assenza di prospettive, l’affettività. Problematiche sociali e politiche, problematiche di cui il cinema italiano si è sempre occupato. Cinema italiano che, però, negli ultimi anni sembra aver esaurito l’originalità nel trattarli, e la vena di autenticità: tanto nelle commedie, quanto nei film più impegnati, queste tematiche sembrano ormai essere diventati vuoti tópoi. Forse, anche a causa di una sotterranea rassegnazione. Qui interviene però il rinnovamento di cui Zero può essere un elemento importante.
Enzo Ceccotti e Omar, va precisato, non hanno dimenticato la vocazione di denuncia politica del cinema italiano, dal Neorealismo in poi. Tradizione che spesso rappresenta un’eredità ingombrante con la quale fare i conti, ma che in casi come questo costituisce un valore aggiunto. In un momento in cui alcuni quartieri e alcune categorie della popolazione nel nostro paese sembrano lasciati a se stessi e il tessuto sociale si sfalda, dall’unione fra cinema socialmente impegnato nostrano, colonizzazione culturale americana e animazione e manga nipponici, ecco che nascono Jeeg Robot e Zero. I supereroi di cui abbiamo bisogno, ma quelli che ci meritiamo? Staremo a vedere.