Guy Ritchie ormai è diventato suo malgrado uno di quegli autori su cui l’attenzione mediatica si concentra a ogni nuova produzione. Si è scritto ‘suo malgrado’ perché tale attenzione sembra trasformarsi in una sorta di misuratore analitico, un guyritchiometro che misura quanto i nuovi film rispettino quel carattere stilistico impersonato dalla produzione degli esordi del regista britannico, così tanto lontana negli annali che pare ormai appartenere a un altro autore. Ma mentre le analisi sui nuovi film di Ritchie scatenano titoli di articoli che ne annunciano il ritorno, e altri che ne denunciano il declino, è forse lo stesso Ritchie che si chiede come tornare a quella narrazione «pazza e scatenata» di Lock & Stock, caratterizzata da un approccio genuino al cinema, quasi anarchico.
Lo sappiamo noi e lo sa Ritchie che la risposta a questa domanda è che non si può tornare a quella specifica atmosfera, in cui venivano girati film con pochi soldi, nei sobborghi londinesi, in un tempo incredibilmente lungo (Lock & Stock è stato girato in otto mesi). Ora Ritchie gira a Los Angeles, con budget milionari e mega produzioni. Allora ecco che il guyritchiometro si attiva e suggerisce allo stesso Ritchie una soluzione alternativa: prendere dai suoi film d’esordio quel carattere stilistico più riconoscibile e tentare di imitarlo, in modo da dare l’impressione di essere tornato alle origini, per buona pace dei titoli. Così ecco Guy Ritchie che ritorna in sé e gira un film corale, violento, con mafiosi e maschi cazzuti (è la parola adatta), con una trama incasinatissima che si complica ulteriormente da sola.
Questa potrebbe essere una descrizione parziale della sua ultima fatica, Wrath of Man (trailer), film (o filmaccio) d’azione che salta l’uscita in sala e viene distribuito direttamente su Prime Video (una curiosità: è il remake di un film del 2004 che si intitola Le convoyeur, il titolo internazionale è Cash Truck, scritto e diretto da Nicolas Boukhrief. Nel cast spicca Jean Dujardin e attualmente il film è disponibile su Netflix). La storia appare subito misteriosa: un uomo taciturno e vagamente sociopatico viene assunto da un’azienda che si occupa di trasportare valori; è schivo e sospetto, ma diventa persino ambiguo quando sventa una rapina smentendo quel carattere vagamente incapace che aveva dimostrato alle prove. Chi è veramente quest’uomo? Qual è il suo obiettivo? La scrittura del primo atto si concentra su queste due domande e ruota completamente attorno all’uomo, interpretato da un attore lanciato dallo stesso Ritchie, poi diventato una delle figure più importanti dei film d’azione statunitensi: Jason Statham.
Statham ha una presenza scenica del tutto particolare, abbastanza impassibile e rigida, caratteristiche che vengono sfruttate dalla scrittura per costruire un protagonista il cui mistero vorrebbe renderlo affascinante. Questo almeno in teoria. Nella pratica la presenza scenica di Statham sottolinea i difetti di una sceneggiatura incapace di costruire personaggi carismatici. Wrath of Man è un film d’azione in cui i personaggi masticano gomme da masticare a bocca aperta, fanno battute misogine e si danno dei nomignoli strani (il protagonista è H, come la bomba). Statham invece dice due parole nei primi undici minuti, così da enfatizzare il mistero attorno al suo personaggio. È una fortuna non tanto per la costruzione dell’alone di mistero ma perché quelle poche parole che dice sono terribili.
La sceneggiatura infatti non è ottima, nemmeno per un film d’azione del genere. C’è un personaggio che viene chiamato Bullet (il mitico Holt McCallany) e questo dimostra la natura meramente ingenua del titolo: Wrath of Man forse vorrebbe soltanto intrattenere con una storia d’azione zeppa di sparatorie tra personaggi con battutacce pronte, mentre è un film di Guy Ritchie e si crea attorno un’inevitabile aspettativa. Il primo atto è una sfilata di cliché abbastanza dozzinali, però la curiosità accresce sinceramente, anche se è inevitabile dove voglia andare a parare il film. Però, nonostante la crescita del mistero, la domanda che sorge spontanea non è né «Chi è veramente quest’uomo?» e nemmeno «Qual è il suo obiettivo?», ma: dov’è la tensione?
Infatti se il film si apre con una scena volutamente statica, poiché mostra una rapina da un punto di vista limitato e insolito soltanto perché la narrazione si preoccuperà di svelare poco a poco le carte, la sceneggiatura e la regia mostrano in più punti un’incapacità di creare il pathos adatto attorno alle scene di tensione o addirittura a quelle chiave. La regia avrebbe sicuramente potuto fare di più, mentre Ritchie appare sinceramente svogliato e la direzione delle scene appare noiosa in più punti. Però c’è un ma: quando Wrath of Man sembra aver già offerto tutto ciò che poteva offrire e il plot si presta a sciogliersi con coerenza e un’inevitabile linearità, ecco che la narrazione a capitoli offre una sorpresa e a metà film cambia improvvisamente il punto di vista della storia.
Bisogna ammetterlo: non solo il cambio di narrazione è una bella idea, ma è l’idea più bella di un film che, sinceramente, non se la meritava. Il cambio del punto di vista aumenta i personaggi: ecco che Wrath of Man diventa un film corale e la differenziazione banale tra ‘buoni’ e ‘cattivi’ si ribalta e confonde. Anche questa svolta narrativa ha un punto debole, perché si crea una confusione che mescola un po’ troppo le carte (ma camuffa abilmente i buchi nella trama), però è sicuramente interessante l’idea perché amplia la storia in modi imprevedibili.
Il film corale e il passaggio tra più punti della narrazione è uno stile tipicamente di Ritchie, quindi il guyritchiometro non è proprio vuoto. Tuttavia Wrath of Man non è un film particolarmente brillante, e se ha una narrazione intrigante, l’oggetto narrato non è particolarmente interessante, né i personaggi particolarmente carismatici da giustificare la visione.