La madre è la prima figura attraverso cui il bambino prende contatto con il mondo. Lo instrada nella vita, lo accompagna dolcemente verso i suoi primi sbagli, lo rialza dopo una rovinosa caduta. In un mondo costantemente fluido, scricchiolante e, a tratti, inclemente, la mamma rappresenta un modello sicuro, un appiglio a cui aggrapparsi. Cosa succede se questa sicurezza comincia a venire meno? Può essere socialmente accettata una figura materna che non aderisce perfettamente a questo stereotipo o fa troppo paura pensare che sia anche solo possibile? Witches (trailer), documentario scritto, diretto e montato da Elizabeth Sankey prova ad indagare proprio questo.
La regista sceglie di mettere in parallelo le storie di donne affette da patologie perinatali con le vicende che hanno interessato per secoli le curatrici (e non solo) additate come streghe. Parliamo, in entrambi i casi, di donne che non sono e non sono state ascoltate, o addirittura a cui è stato totalmente negata la possibilità di spiegarsi. È sorprendente notare come ci siano effettivamente vari spunti comuni, come il percorso di ostracismo che interessa il sesso femminile non abbia saltato neanche una generazione e si ripresenti periodicamente, seppur con forme, voci, volti diversi.
Al centro c’è la protagonista, la stessa Sankey, che racconta la propria esperienza diretta con l’ansia e la depressione post partum, circondata da un manipolo di donne, amiche, e supportata anche dalle confessioni di uomini. Ci troviamo così di fronte ad un racconto corale, dove le voci si modellano tra loro e le testimonianze si incastrano. Una danza disordinata in cui si alternano i primi piani delle protagoniste a sequenze di film, che sembrano aderire perfettamente alla storia e danzare sulla voice over dall’impronta quasi fiabesca della regista.
L’idea di Sankey è spiazzante, spesso provocatoria e sicuramente illuminante, seppur imperfetta. Witches è un documentario che presenta delle falle e forse ciò lo rende ancora più genuino. Tante donne vengono ascoltate, tante microtematiche vengono aperte e lasciate lì, senza una conclusione, senza una reale chiusura. Ma c’era effettivamente bisogno di una chiusura? Di seguire un percorso lineare e pulito? Witches trascina, insieme a tutto il resto, il seme della distruzione, dell’incompletezza e dell’incertezza riguardo al futuro, lancia un grido che forse verrà recepito, forse no. Lo fa con lo stile narrativo che riesce ad abbracciare maggiormente questa tensione.
Il film di Sankey decostruisce il prototipo di madre ideale, quello perfettamente conforme ai parametri impartiti dalla società. Invita a porsi delle domande su cosa voglia dire diventare madre oggi, ieri, e sdogana totalmente il dovere di provare una assoluta gioia post gravidanza. Lo fa attingendo a emotivi viaggi personali, ma anche a scienza e, soprattutto, a dati. Negli Stati Uniti ci sono veramente pochi reparti specializzati nelle patologie perinatali, nel Regno Unito di più, ma soltanto perché si è verificato un forte pretesto per istituirli. Abbiamo davvero bisogno di donne e neonati che muoiano per smuovere le acque?
Si percepisce chiaramente la foga, l’urgenza quasi animalesca di una storia che porta con sé tutta la necessità di essere condivisa. E oltre a questo la dolcezza, la cura nei dettagli e la tenera stretta di mano che Sankey riserva ad ogni sua amica che ha il coraggio di rilevare il proprio intimo e trascinante vissuto. Quello che ne deriva è un forte senso di sorellanza, stretta comune, unione di donne che insieme sono riuscite a dare un nome al proprio malessere e, nella difficoltà, si sono scoperte complici, parti di un Uno.
Witches ci invita ad abbracciare l’oscurità, non solo personale, quanto più sociale, culturale, per osservarla dall’interno, passare oltre ed arginarla. L’oscurità che permea in mezzo a noi, che si autoalimenta da secoli e che alimenta a sua volta stigmi e pregiudizi. È proprio da queste zone d’ombra che può nascere un seme di cambiamento, una tensione a smantellare. Una spinta di cui oggi, più che mai, abbiamo terribilmente bisogno.
In un mondo in cui ci ripetono di stare attente ai matti forse le matte siamo proprio noi donne, che dovremmo continuare ad insegnare alle nostre figlie che oltre ad essere una principessa, una dottoressa, una maestra, possono sognare, da grandi, di diventare anche una strega. Diversa, incontrollabile, non conforme alle norme socialmente imposte, e totalmente giusta così.
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