Wicked, la recensione: un Musical con la M maiuscola!

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Wicked (Part 1), è un film del 2024 (trailer) diretto da Jon M. Chu e sceneggiato da Winnie Holzman e Dana Fox. Si tratta dell’adattamento cinematografico dell’omonimo musical di Winnie Holzman e Stephen Schwartz, per esattezza del I Atto, a sua volta tratto dal romanzo Strega – Cronache dal Regno di Oz in rivolta (Gregory Maguire), che, ancora una volta, si rifà ad una rivisitazione de Il meraviglioso mago di Oz (L. Frank Baum).

Il film sembra riscuotere un elevato grado di approvazione, sia da parte dal pubblico che dalla critica. A stupire, non è tanto che il film piaccia, quanto l’interesse mediatico che Wicked ha generato in un paese come l’Italia, in cui il musical teatrale e cinematografico resta un genere di nicchia. In Italia il musical ha raggiunto il grande pubblico solo in pochi casi eccezionali, quando essi erano di per sé successi internazionali come Mamma mia, High School Musical o The Greatest Showman. Tuttavia, parliamo di musical che nascono per la sala, basati su una scrittura differente rispetto agli adattamenti teatrali, che risultano ostici e poco digeribili dal grande pubblico italiano. Basti pensare che Les Misérables nel 2012 guadagnò 38 milioni di sterline al botteghino inglese e solamente due a quello italiano. Allora, cos’ha Wicked di diverso?

Uno dei punti di forza del musical è sicuramente la fama dell’omonimo spettacolo broadwayniano e dell’elevata fedeltà del Wicked cinematografico con esso (anche se per altri aspetti, al di fuori della garanzia della popolarità, si rivelerà un’arma a doppio taglio). Parliamo di uno degli adattamenti più fedeli della filmografia del genere. È proprio per la fama dello show teatrale che l’Universal ha deciso di non mutilare l’opera, preferendo che essa venisse suddivisa in due (la seconda arriverà nelle sale tra un anno esatto nel novembre 2025). Questa fedeltà ha preso alla gola il fandom e scatenato la curiosità di tutti gli appassionati dei precedenti cinematografici della saga letteraria (Il grande e potente Oz del 2013 e Il cult del 1939).

C’è dunque poco da dire sulla trama: si tratta di un prequel del Mago di Oz, come protagoniste le streghe più famose della città di Smeraldo: Elphaba (Cynthia Erivo) e Glinda (Ariana Grande). La perfida strega dell’ovest è morta e il regno di Oz festeggia la liberazione della più malvagia delle creature e lo fa esattamente come a teatro: con una canzone. Dopo questo flashforward, il film inizia raccontandoci la nascita e la triste infanzia di Elphaba, conosciuta al grande pubblico come, per l’appunto, la perfida strega dell’ovest, proprio colei che verrà sconfitta dalla piccola Dorothy. Perché triste infanzia? Semplice, è diversa da tutti gli altri: ha la pelle verde!

La narrazione procede catapultando Elphaba all’università di Shiz dove accompagna la sorella afflitta da una disabilità motoria. È qui che ci viene presentata Galinda (conosciuta come Glinda o la buona strega del Nord), per farla breve la “Sharpay Evans” della Shiz. L’aspirazione della pomposa strega rosa confetto è di frequentare un prestigioso corso di magia tenuto da una delle streghe più potenti di tutta Oz. Qui l’incidente scatenante: il posto a cui ambiva Glinda verrà assegnato ad Elphaba. La strega verde viene notata proprio dalla prestigiosa professoressa a seguito di un incidente magico, che la ritiene in grado di controllare un immenso potere tanto grande da essere seconda solo al Mago. Se Elphaba si impegnerà negli studi potrà lavorare al fianco del Mago di Oz in persona. Elphaba e Glinda si ritroveranno a condividere la stanza, accomunate solamente dall’odio reciproco l’una verso l’altra. Tutto si capovolgerà nella seconda metà del film. A seguito di un commovente evento le due streghe diventeranno come sorelle e tutti gli equilibri tra bene e male, creati sino a qui, verranno stravolti. il resto della trama è obbligatoriamente da lasciare al film.

La scelta del cast, in particolare delle protagoniste, è un altro degli evidenti motivi del successo del film. Il progetto partì nel 2019 poi rimandato, a causa pandemia, nel 2021, quando si ufficializzò la produzione con il rispettivo cast. Essere le protagoniste dell’adattamento di un tale cult richiese alle due attrici totale dedizione ad esso. Dalla sua scritturazione, Cynthia Erivo si è limitata ad apparire sullo schermo in ruoli di comparsa (come per il Pinocchio della Disney nel 2022), mentre Ariana Grande annunciò essa stessa l’uscita dalla scena musicale per il periodo necessario, a favore della totale dedizione al film. Possiamo dire, ad oggi, che gli sforzi della cantante non sono stati vaghi. La performance della pop-star internazionale sono state eccellenti, almeno per quello che ci si aspetta da una cantante. Dopo gli ultimi flop che hanno visto coinvolte star musicali, come Lady Gaga nell’ultimo Joker: folie à deux, Ariana risulta essere una sorpresa ed una carta vincente. Bisogna però sottolineare l’ovvia importanza che ha avuto il suo passato da attrice; di fatto la cantante ha in realtà iniziato la sua carriera musicale grazie alle serie televisive di Nickelodeon. Ariana risulta, a volte, talmente brillante da oscurare la collega nei numeri in pas de deux. Il merito ovviamente va anche al suo eccentrico personaggio.

Cynthia Erivo non sembra aver brillato altrettanto, ma non si è tirata indietro nel mostrarci tutta la sua potenza scenica e vocale nelle scene più iconiche del suo personaggio. Tuttavia, parlando dell’Erivonei panni di Elphaba un’altra questione è degna di nota. L’attrice ha ricevuto non poche critiche dopo aver accettato il ruolo di Fata Turchina in Pinocchio (Disney, 2022); secondo i fan un ennesimo tentativo fallito derivante dalla ormai firma woke della Disney. Ora ha il suo riscatto: la scelta di un attrice nera nei panni di Elphaba è stata la più giusta da fare da un punto di vista narrativo, scelta carica di significato sia emotivo che storico-attuale. Nessun politicamente corretto: la strega dell’ovest diviene portavoce delle ingiustizie di chi è diverso in una società omologata, il messaggio antirazziale è forte e chiaro.

Continuando a prendere lo spettatore per la gola è un cliché narrativo tipico dell’ultimo ventennio cinematografico: i cattivi non sono in realtà cattivi. Le fiabe ci raccontano da sempre che nel mondo esiste una netta distinzione tra il bene ed il male. Da qualche decennio però questo manicheismo è passato di moda, ed assistiamo sempre di più ad una complessificazione di questo rapporto schematico tra bene e male, a favore di una contaminazione. Elphaba non è né un’antieroina né un’antagonista classica, è un buona che lotta per il bene, con armi non convenzionali, diversa e per questo etichettata da tutti come “malvagia”. I malvagi soffrono, ce lo dice la stessa Glinda nella canzone di apertura, a seguito della notizia della morte della Strega dell’Ovest: «E Dio sa che le vite dei malvagi sono solitarie. Dio sa che i malvagi muoiono da soli. Si vede quando sei malvagio. Sei lasciato solo. Da solo».

Non ci sono solo meriti, anche Wicked ha le sue pecche. Come anticipato, la sua fedeltà narrativa alla drammaturgia dello spettacolo teatrale si rivela un’arma a doppio taglio. Di questa rigidità a subirne le conseguenze è un’apparente scarica della passione che contraddistingue un musical. Ciò non vuol dire che non ce ne sia nelle performance, che al contrario ne sono ricche nella loro spettacolarità, ma manca nel racconto. In poche parole a peccare nel film è la presenza di un debole pathos narrativo, e non scenico. Sembra che si sia speso tantissimo nelle scenografie, costumi, trucco e “parrucco” per immergerci nello sfavillante mondo di Oz. Eppure, il film non ci fa sobbalzare dalla poltrona, se non con l’attacco delle canzoni più note ed iconiche, ma si tratta di una reazione istintiva della memoria.

In poche parole, ciò che sembrerebbe mancare è quella forte distinzione, caratteristica dei musical, che separa il tempo rappresentato (quello delle emozioni, una sospensione del racconto che lascia spazio alla rappresentazione emotiva interiore del personaggio) dal tempo della rappresentazione (quella dell’orologio dello spettatore e della diegesi). Non perché non si comprenda l’effettivo passaggio di sospensione narrativa, ma perché essa non è fortemente sottolineata. In breve, la maggior parte canzoni non sono accompagnate da scene recitate abbastanza potenti, scaricandone in partenza l’impatto. Questa assenza genera l’impressione di guardare delle performance isolate sulle quali si è concentrata tutta l’attenzione degli autori, e a risentirne è la comprensione da parte degli spettatori dell’Io dei personaggi. Mancano, inoltre, alcuni passaggi fondamentali che portano i protagonisti a trarre certe conclusioni e a decidere di intraprendere alcune azioni (ad esempio il motivo stesso per cui Elphaba è verde non viene svelato, motivo decisivo per cui decide di mettersi contro tutta Oz). Eppure, avendo suddiviso il film in due atti, di tempo per rendere più complessa la trama adattandola ad un lirismo più cinematografico ne avevano.

Un’ultima parentesi va aperta sulla decisione dell’Universal di distribuire il film doppiato in italiano. Decisione che ha fatto apparentemente molto discutere, in quanto ad essere doppiato è stato l’interno film, ebbene sì: anche le canzoni! Un tasto delicato, non da prendere alla leggera. Essendo un film destinato al grande pubblico, i fan del cult e del genere, devono fare i conti con il fatto che non sono gli unici destinatari, tra il pubblico ci sono anche: bambini, anziani e persone non vedenti; magari appassionati alla narrazione del mondo di Oz. Perché privare qualcuno di sapere cosa canta Elphaba quando afferra la sua iconica scopa durante Defyng Gravity? Questa decisione ha un altro aspetto positivo da tenere in considerazione: per una delle pochissime volte nel nostro paese c’è stata un’alta affluenza per la visione di un film in lingua originale, e non un film di 90 minuti, parliamo di quasi 3 ore di film!

Nonostante qualche carenza, Wicked ha tutte la carte in regola: scenografia imponenti, colori sgargianti, costumi sfavillanti, cantanti eccezionali e un cast stellare. Possiamo etichettarlo come un Musical con la M maiuscola.

In sala.

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