Spesso abbiamo provato a immaginare il Giappone, paese che ha sempre creato nell’Occidente una curiosità e un fascino senza pari, più delle vicine Cina e Corea. Ancora più spesso il cinema occidentale si è cimentato nella sua rappresentazione, in particolar modo nella resa di uno stile di vita unico al mondo. Gli esempi sono tanti ma quello più rilevante è Hiroshima mon amour di Alain Resnais, che già nel 1959 immaginava l’incontro tra due culture agli antipodi, quella occidentale e quella giapponese appena uscita dal disastro della bomba nucleare. Nel suo Viaggio in Giappone (trailer) Élise Girard sembra ricalcare le orme di Resnais con piedi nuovi e più candidi, tornando in un Giappone lontano dagli orrori del Novecento (almeno all’apparenza).
Sidonie (Isabelle Huppert) è una nota scrittrice francese che dopo la morte improvvisa del marito Antoine (August Diehl) non riesce più a scrivere. La lettera di un editore giapponese che sta curando la riedizione del suo primo libro riesce tuttavia a porre fine alla sua inattività e la convince a recarsi in Giappone per un tour promozionale. Ad accoglierla nella città di Kyoto è non solo una cultura e delle usanze drasticamente diverse da quelle francesi, ma anche dei luoghi insoliti per forma e colori: templi buddisti, viali di ciliegi in fiore, i tipici ryokan con pavimenti di paglia e tavolini bassi per mangiare. L’editore Kenzo Mizoguchi (Tsuyoshi Ihara), più volte scambiato per un parente del famoso regista, è la guida di Sidonie che dopo un iniziale scetticismo e diffidenza nei confronti della scrittrice arriva ad aprirsi con lei e a svelarle addirittura il grande segreto del Giappone, ovvero quello di essere terra di fantasmi.
Se dunque l’incontro con una realtà completamente diversa calma l’animo di Sidonie e le fa dimenticare la sua sofferenza, d’altra parte questo paese così misterioso che la scrittrice va esplorando insieme a Mizoguchi la mette alla prova e le offre con gli stessi colori vividi e lucenti dei boccioli di ciliegio l’immagine dell’amato marito. Proprio nel momento in cui Sidonie accetta la presenza di Antoine e fa i conti con un modo tutto nuovo di percepire la morte (quello giapponese per l’appunto), il confronto culturale diventa inevitabilmente un gioco da ragazzi e passa quasi in secondo piano. Sidonie ha accesso alla dimensione più intima e profonda della cultura giapponese, la stessa che si cela dietro all’apparente freddezza e insensibilità dei giapponesi stessi; d’altronde, come afferma Mizoguchi «I fantasmi ci aiutano a vivere».
Sebbene si tratti del superamento di un lutto e il film prenda in alcuni momenti la stessa piega malinconica del suo precursore Hiroshima mon amour, la storia si tinge di una comicità delicata che si rivela essenziale nell’affrontare l’impatto di Sidonie con il rigore e la formalità giapponesi. Grande merito va allo spessore di un’artista come Isabelle Huppert, e soprattutto alla padronanza nei movimenti che le permette di assumere connotati fumettistici: a partire dalle luminosissime sneakers bianche che le ingrandiscono i piedi come quelli di un pagliaccio fino alla camminata svelta e buffa per stare dietro al passo slanciato di Mizoguchi, il personaggio di Sidonie è una vera e propria macchietta che per certi versi ricorda le maschere della commedia dell’arte.
L’impeccabile interpretazione della Huppert, ormai del tutto prevedibile, è però sorretta da una sceneggiatura e una regia rilevanti. Élise Girard scrive il film insieme a Maud Ameline, sceneggiatrice di Passeggeri della notte e L’Envol, e insieme creano dialoghi estremamente convincenti sia per la loro raffinatezza e ricercatezza sia per un’originalità che non è affatto scontata se si pensa a tutto il citazionismo che sta alla base del film (da Ozu a Resnais). Nonostante la narrazione rischi più volte di sfociare in astrazione, soprattutto nelle scene in cui la voce extradiegetica dei personaggi accompagna i paesaggi di Kyoto, ogni parola è funzionale all’elaborazione profonda del lutto da parte della protagonista, ogni scena risulta aderente a una trama ben delineata, senza che la narrazione sia mai dispersiva.
Con Viaggio in Giappone Élise Girard fa un’operazione personalissima, una dichiarazione d’amore per un paese e la sua cultura nel rispetto di chi l’ha amato e raccontato prima di lei, con l’ironia di chi accetta con entusiasmo le profonde differenze che ci rendono così estranei tra esseri umani e con il trasporto innato verso un diverso sistema di pensiero, custode di segreti e soluzioni per la migliore delle vite possibili. Sidonie scopre il Giappone, riscopre l’amore e torna a scrivere.
Al cinema.