#Venezia81: The Order, la recensione del film di Justin Kurzel

Se The Order sia davvero thriller politico – come giustamente è stato presentato – c’è da capirlo. C’è da capirlo perché la tensione rimane alta per tutto il tempo, il gioco del gatto e del topo tra l’FBI e i terroristi – in uno scenario dai forti connotati politici – è incalzante, ma la componente più viva e interessante del film risiede in realtà nella sua anima western.

Il nuovo film di Justin Kurzel è ambientato nello Stato di Washington, luogo emblema del cinema politico statunitense, ma si tiene lontano dagli spazi iconici della capitale, dai landmark rappresentativi di un’idea ufficiale di America che qui compare solo come scenario ipotetico. L’America di The Order è quella dei paesaggi boscosi dell’entroterra, delle periferie desolate e delle rapine in banca alla Gangster Story, ma soprattutto è l’America western dei baffi consunti di Jude Law, che qui dismette i panni eleganti e british che aveva calzato finora per sporcarsi l’abito in un personaggio più cowboy che poliziotto.

Veterano della Guerra di Corea e agente federale sulle tracce di un gruppo eversivo e suprematista, Terry Husk (realmente esistito, così come tutta la vicenda) è un personaggio esaurito dal suo lavoro, che però non riesce mai ad abbandonare. Del suo background sappiamo poco: oltre a qualche vago cenno su delle figlie (sono morte? non lo vogliono più vedere?) è più che altro una figura stanca e visibilmente consumata, mossa unicamente dal suo senso del dovere che lo porta a fare da padre al più giovane poliziotto Jamie Bowen (Tye Sheridan). L’altro polo della storia riguarda invece Bob Matthews (Nicholas Hoult, anche lui inglese), capo ribelle e carismatico di una setta di terroristi neonazisti – chiamata appunto “The Order” e nata da una scissione con la congregazione radicale Aryan Nation – che punta a rovesciare le assi del potere istituzionale per ristabilire un nuovo sistema con al vertice la “vera americanità bianca”.

Questo conflitto per una salvaguardia o una ridefinizione dell’ordine da parte delle due fazioni assume le sembianze di un vero e proprio duello western, e lo stesso scontro finale tra i due è una questione di sguardi, fuoco e cenere che concretizza l’atmosfera polverosa del resto del film. Jude Law, che interpreta appunto Terry Husk, è probabilmente la cosa migliore del film, per come incarna – paradossalmente considerando le sue origini – la paranoia di un paese, l’America, che non fa altro che guardare su sé stesso e materializzare i propri incubi di deflagrazione intestina.

Lo faceva già mesi fa con Civil War, dove la divisione interna e la polarizzazione ideologica avevano già creato il mostro della guerra civile; lo fa ancora ora – non a caso tramite i codici del genere americano per eccellenza – The Order, rimettendo in scena gli strascichi traumatici dell’assalto al Campidoglio il 6 gennaio 2021 – da parte di alcuni seguaci fanatici di Donald Trump – ed evocando dichiaratamente il fantasma della rivoluzione armata. La storia è ambientata negli anni Ottanta, ma il collegamento è evidente: lo dimostra la cospirazione finale del The Order, che consiste nell’assaltare proprio Capitol Hill e uccidere degli esponenti politici, sia i paratesti finali che raccontano i reali sviluppi delle vicende, e stabiliscono esplicitamente una risonanza tra le due cose.

Nel complesso, funziona come palpitante thriller (soprattutto per movimentare una Venezia finora altalenante), ma per certi versi fatica a rimanere impresso dopo la visione, accontentandosi di essere un film quadrato e ben costruito.

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