#Venezia81: Super Happy Forever, la recensione del film di Kohei Igarashi

Super Happy forever, La recensione del buon film di Kohei Igarashi presentato alle Giornate degli Autori a Venezia81

La perdita di una persona cara è uno di quei temi che, se non trattato con delicatezza, può diventare particolarmente pedante o, al contrario, eccessivamente scontato. Non è questo il caso di Super Happy Forever (trailer), terzo lungometraggio del regista nipponico Kohei Igarashi.

Sano (Hiroki Sano) è in giovane ragazzo dall’indole introversa e solitaria. Con il suo amico Myata (Yoshinori Miyata), invece caratterizzato da un piglio opposto, decide di fare ciò che ogni psicologo sconsiglierebbe: rivivere i bei ricordi del passato, con la sadica consapevolezza che non possano ritornare. Infatti, i due amici ritornano nello stesso albergo dove, cinque anni prima, Sano aveva conosciuto Nagi (Nairu Yamamoto), la donna che in breve tempo avrebbe sposato.

Ogni evento che Igarashi mette in scena contribuisce alla costruzione e metabolizzazione del tema del lutto. La luce cupa dell’inverno, le leggende di fantasmi paesani e lo svenimento di un anziano signore sono solo alcuni dei tasselli che compongono quel puzzle che, per Sano, rappresenta lo spettro della morte.

Circondato da questo alone di ineluttabile negatività, Sano vaga per le vie di Izu alla ricerca di un cappello rosso, simbolo del più genuino ricordo condiviso con Nagi. Infatti, quello che doveva essere un piccolo ma significativo regalo di compleanno si tramuta in un obiettivo quasi irraggiungibile. Carico di questi ricordi e di tanta sofferenza, Sano si iscrive con l’amico ad uno strano corso per la ricerca della felicità: SHF (Super Happy Forever).

L’alternarsi di inquadrature di strade desolate con quelle raffiguranti il mare in tempesta riescono perfettamente nell’intento di comunicarci il senso di alienazione misto a resa che prova il protagonista. Ed è proprio partendo da queste sensazioni che il regista ci riporta a cinque anni prima, nel giorno del fortuito incontro tra Sano e Nagi. Come andrà a finire già lo sappiamo, eppure l’interesse che avevamo riservato alle scene precedenti non è destinato a scemare, ma anzi ad emergere in modo ancora più prominente.

I due ragazzi sono fatti l’uno per l’altra. Ascoltano le stesse canzoni (Beyond the sea), amano gli stessi film (quelli horror di Sam Raimi e George Romero) e si emozionano entrambi, in modo sicuramente poco romantico, di fronte a un piatto di noodles istantanei. Niente sembra poterli separare, neppure la lontananza geografica. Ma, come sappiamo, sarà la morte a stroncare violentemente questa relazione. Il loro amore, dunque, sembra poter vivere solo nei ricordi di quegli i indimenticabili momenti ma il regista, spinto da una volontà ottimista, ci mostra un’altra strada.

Il filo invisibile ma, al tempo stesso, indelebile che lega i due amati viene rappresentato dalla ragazza vietnamita che pulisce le camere dell’albergo. Lei, che con Nagi aveva stretto una tenera amicizia, diventa l’inconsapevole collegamento tra i due, accompagnandoli, con la rivelazione dell’ultima scena, al luogo dove tutto era sbocciato. È, infatti, ancora una volta la spiaggia, accarezzata dalle onde del mare, a rappresentare quell’infinita distesa azzurra dove Sano e Nagi potranno ancora nuotare, riuscendo a coronare il sogno, apparentemente irraggiungibile, di essere finalmente super happy forever.

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