Una testimonianza necessaria quella ricostruita e messa in scena dal regista settantaseienne Errol Morris, vincitore dell’ Oscar nel 2003 con il documentario The Fog of War. Morris in Separated crea un tappeto di prove ed evidenze per denunciare la brutalità della politica “tolleranza zero” attuata in America sotto il governo di Trump. Lo fa attraverso un intreccio di interviste, frammenti di comizi e telegiornali, email intercettate e una rappresentazione finzionale del viaggio di una madre e suo figlio dal Guatemala agli Stati Uniti.
Il documentario si rifà esplicitamente all’omonimo libro, pubblicato nel 2020 dal giornalista Jacob Soboroff, basato anch’esso su ricerche sul campo, interviste a funzionari governativi e testimonianze dirette delle famiglie colpite. La scelta di Morris di trattare nuovamente e più approfonditamente la vicenda è decisamente strategica, considerando l’imminenza delle prossime elezioni presidenziali. Elemento implicitamente enfatizzato dal monito che chiude il documentario ovvero: ciò che è accaduto può accadere di nuovo.
La manovra politica in questione prevedeva che i minori, entrati nel paese illegalmente, venissero sistematicamente separati dai loro genitori come deterrente per scoraggiare l’immigrazione clandestina. Sebbene attraverso i media venisse ufficialmente negata l’attuazione di tale politica (almeno fino al 2018), dietro le quinte tutto era già in movimento, trasformando il programma per minori non accompagnati dell’Office of Refugee Resettlement in una fabbrica sovraffollata di orfani. Morris, per dare fluidità alla narrazione, crea un percorso emotivo attraverso il viaggio finzionale dei due attori Gabriela Cartol e Diego Armando (che mantengono i loro nomi) parallelamente a quello cronologico che rende chiare le tappe che sono state determinanti per rendere attiva una politica così controversa.
L’impatto emotivo è molto forte anche se sembra indulgere in un’autocelebrazione. Ciò è evidente soprattutto quando descrive, attraverso molteplici ripetizioni, come il funzionario Jonathan White abbia risolto la complicata situazione riuscendo infine a ricongiungere le famiglie e si sia opposto fermamente alle macchinazioni messe in atto dai suoi superiori. Al contempo il ritratto del direttore dell’ORR, Scott Lloyd, appare fatto ad hoc per esibire ancora una volta la banalità del male, mostrando l’uomo come indolente e inadatto. Questa netta polarizzazione tra eroi e cattivi rischia però di indebolire un racconto già di per sé drammatico.
Il film è stato accolto con scrosci di applausi in sala ma ciò non è ancora indice di un reale risveglio della coscienza collettiva come sottolinea il momento più incisivo del film, ovvero il finale. Morris, abbandonando la retorica, sottolinea una verità inquietante: l’indignazione suscitata dalla proliferazione di un audio, in cui una guardia derideva il pianto di bambini costretti in quella situazione, si è spenta. Difatti, ad oggi, dopo tutto il clamore, non solo non ci sono stati risarcimenti, ma non sono state create leggi che impediscano che la storia si ripeta. L’indifferenza è tornata a prevalere e nessun passo avanti viene fatto per rendere un paese democratico veramente tale.