L’estate è la stagione perfetta per chi puzza ancora di latte, l’odore si copre tra il fumo degli spinelli e il sudore degli ormoni in subbuglio. C’è fretta di crescere, poi però, quando si ha qualche luna di troppo, ci si rende conto che crescere non era come lo si pensava. Quello che ti resta della gioventù bruciata sono soltanto le cicatrici degli errori. Leurs Enfants après eux non è un racconto di formazione ma la fotografia pulsante di una società.
Siamo in Francia, sono gli anni ’90. Anthony (Paul Kircher) è un disadattato, uno di quelli che non riesce a trovare il suo posto nel mondo. Ma Anthony è anche un ragazzino, che non sa che cercare quel posto non deve essere una sua preoccupazione. Il padre alcolista e la madre accondiscendente creano un quadro familiare fragile nei quartieri poveri della città. Il mondo che circonda Anthony è variegato, esattamente come ci si aspetterebbe da un paese globalizzato che si avvicina al nuovo millennio.
C’è Steph, la fille borghesotta per cui Anthony perde la testa, forse una manifestazione inconscia della voglia di scappare dalla sua condizione sociale. C’è Hacine, ragazzo marocchino e nemesi del protagonista, una rivalità da western, due outlaws senza sceriffo. Poi ci sono tutti gli altri, i datori di lavoro, i colleghi, le fidanzate, i parenti.
La storia che si intreccia con la Storia e poi ancora con la contemporaneità, un viaggio attraverso gli anni che ricalca delle situazioni di classe in modo molto attento. I registi sembra possano aver scelto questa storia per creare uno specchio di confronto con l’oggi, un oggi in Francia molto diverso. Le psicologie degli adulti, che si riversano inevitabilmente sui figli, sono segnate, arrabbiate e dolorose. Le conseguenze le vedremo vent’anni dopo: quei ragazzi degli anni ’90 incazzati col mondo, che si fanno la guerra tra poveri, saranno inevitabilmente gli elettori del 2000, quelli che hanno portato alla rivalsa delle politiche di estrema destra del Rassemblent National.
A distrarci dalla rabbia che cresce c’è la musica (una colonna sonora piena di grandi classici), ci sono le feste, ma soprattutto ci sono le moto. La moto è un oggetto che nel film torna sempre. È l’evento scatenante: la Yamaha del padre di Anthony, che viene rubata creando uno scompiglio drammatico a valanga. Il simbolo di fuga e di classe perfetto, un oggetto prezioso che non ci si potrebbe permettere, che ti fa sentire elevato, conteso violentemente da chi non si accorge di star combattendo una battaglia sbagliata, quella contro i propri pari. Procedendo di quella moto restano i fantasmi, poi di moto ne arrivano altre, si vuole andare via ma si finisce per non andare da nessuna parte, un circolo vizioso condito di ingiustizie e xenofobia, una corsa dentro un circuito ad anello.
Leurs Enfants après eux è una lotta eterna senza bene o male, dove a farla vinta è la rabbia di una generazione disastrata da una grande crisi morale. L’epica di fine ‘900 con personaggi forti, affascinanti e complicati che vagano sullo sfondo di un’Europa figlia di filosofie individualiste. La vita viene messa in secondo piano, sotto le luci della ribalta una sopravvivenza disperata dove c’è chi ogni giorno deve lottare per un pezzo di pane e chi per un 18 all’università. Non è una narrativa moralista, ma un tuffo nella profondità delle basi di chi in qualche modo vuole dire basta, urlarlo al cielo. Il giovane Holden è rinato dall’altra parte dell’oceano, la ribellione è rimasta ma la speranza si è affievolita, quasi spenta, in un mare di abusi e prevaricazione.