#Venezia81: Finalement, la recensione del film di Claude Lelouch

Finalement, la recensione dell'ottimo film di Claude Lelouch presentato Fuori Concorso a Venezia81

L’infinita carriera di Claude Lelouch non intende terminare. Infatti, nonostante le dichiarazioni del regista fanno intuire senza troppi giochi di parole la sua volontà di ritirarsi, Finalement (trailer) dimostra che questo incredibile cineasta, alla veneranda età di 86 anni, ha ancora molto da offrire. Difatti, la fiducia che egli ripone nei confronti cinema e dei suoi miracolosi poteri non accenna ad esaurire e anzi gli propone un’altra esaltante sfida.

Narrare la trama dettagliata dell’ennesima grande creazione di questo autore, oltre che ingiusto, si rivelerebbe inutile. Sogno, realtà e ricordi si mescolano indissolubilmente, costringendoci a un tanto affannoso quanto piacevole straniamento. Questo sentimento viene condiviso dal protagonista Lino Massaro, interpretato da un sempre impeccabile Kad Merad, già interprete nel film Una donna e una canaglia dello stesso Lelouch. Egli esercita con successo la professione di avvocato ma, da un momento all’altro, per una presunta demenza lobo-frontale, perde la testa e decide di partire.

La sua eccezionale, seppur licenziosa, vita diventa il presupposto per ripercorrere la carriera di questo regista, un grande cineasta per anni ingiustamente snobbato. Il suo cinema, infatti, è stata a lungo sottovalutato sopratutto dall’ambiente critico e intellettuale. La ragione di questo imperdonabile abbaglio: il successo raggiunto in contemporanea allo sbocciare della Nouvelle Vague, stilisticamente molto più radicale e innovativa.

Ma, come dimostra ampiamente Finalement, insignito del premio Cartier Glory to the Filmmaker, quello proposto da Lelouch non è certo un cinema semplice. Infatti, il tempo della storia, scandito da sbalzi narrativi e temporali quasi episodici ha l’obbiettivo di istillare in noi dubbi e perplessità sulla personalità del protagonista. Un uomo talmente enigmatico che, da solo, lo spettatore non sarebbe in grado di decifrare. Fortunatamente, ci pensa il regista a venirci in aiuto, ricorrendo a uno dei linguaggi da lui più amati: la musica. Essa, da sempre indiscussa protagonista dei suoi film, suona come parole rivelatrici e conserva un potere sovrannaturale tale da schiarirci le idee e illuminarci la via verso la comprensione.

Lungo questo cammino, l’eredità felliniana si palesa in modo preponderante. Come nel cinema del regista riminese, il mondo dei sogni viene caricato di un’importanza paragonabile, se non superiore, a quello della realtà, venendo evocato con immagini e simboli carichi di un profondo significato, atto a suggellare il senso di una vita intera. Così, l’esistenza del protagonista si sovrappone a quella del regista aprendo un’indagine sullo scorrere del tempo.

Del resto, già nel precedente I migliori anni della nostra vita, Lelouch ci aveva messo di fronte allo spettro della vecchiaia e delle memorie che ne derivano. Qui, l’atmosfera malinconica si tinge, però, di un senso di viscerale attaccamento agli imprevisti della vita. Ed è proprio questa lotta, che il personaggio ingaggia con la sorte, a risvegliare in lui la consapevolezza di non poterla domare ma, al contempo, la speranza di poter finalmente trovare un equilibrio.

I volti immortali di un cast composto, tra gli altri, da attori come Michel Boujenah, Sandrine Bonnaire e Francoise Fabian riesce a rendere perfettamente l’idea di come dovrebbe essere il cinema riflessivo, talmente sfuggente e assurdo da diventare plausibile solo in quanto prodotto cinematografico. La somma di questi aspetti, unita all’esperienza sessantennale del regista, inserisce di diritto questo film nella lista dei migliori di Lelouch e giustifica ampiamente il riconoscimento riservatogli in questa ottantunesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

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