Da quando il porno ha iniziato a imperversare non si è potuto più arginare. Ha cominciato ad insinuarsi nelle case, nelle menti, nelle vite ed è diventato incontrollato, incontrollabile. Non può essere chiuso in sovrastrutture. Il porno inizia e non si sa dove va a finire. È libero e, in quanto libero, pronto a farsi carico di tutte le connotazioni che gli si vogliono attribuire. Eppure, questa libertà non è così tangibile in Diva Futura di Giulia Louise Steigerwalt ,in Concorso alla 81. Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Nel pieno periodo della Democrazia Cristiana, Riccardo Schicchi (Pietro Castellitto) tenta di rivoluzionare i costumi italiani con la sua agenzia pornografica Diva Futura. In questa impresa liberatoria e amorale lo accompagnano Moana Pozzi (Denise Capezza) Ilona Staller (Lidija Kordić), Eva Henger (Tesa Litvan) e Debora, la segretaria dell’agenzia, interpretata da Barbara Ronchi.
«La società ci criticava ma ci desiderava, ci sognava. A noi stupire e creare scandalo piaceva tantissimo». Queste sono le premesse con cui Diva Futura si apre. Premesse che lasciano molto spazio alla fantasia di uno spettatore fidente nel trovarsi davanti ad un film reazionario. La tematica è sovversiva ma la sregolatezza non la vediamo. Il film di Stengerwalt è indubbiamente ben confezionato: un finale costruito ad hoc per emozionare, fotografia tipica di un prodotto Netflix, dialoghi (spesso brillanti) volti al fine di alleggerire, intrattenere, descrivere, attori capaci che si portano il ruolo “a casa”. Ma, forse, è proprio questo il dilemma. Tutto appare fin troppo pulito come mai un film sul porno dovrebbe essere.
Non vediamo reali conflitti, non vediamo quella contraddizione, divisione che da sempre scuote la pornografia, e con essa i discorsi, le argomentazioni intorno. Non c’è la scorrettezza di chi ostenta quel temperamento a voler cambiare la società, a voler aprire gli argini di un fiume che da sempre scorre troppo dritto. Diva Futura è manierato, sicuramente elegante, forse divertente, ma privo di un reale slancio. Rimane fermo a mezz’aria, tra intrattenimento ed informazione, senza sforzarsi però di volare più in alto, addentrarsi a fondo di una storia che ha cambiato in parte la vita degli italiani. Non che così non possa funzionare, nessuno nega che si tratti di un prodotto che scorre liscio, voluttuoso, ma forse questo non basta. O almeno non basta più. Quanti film abbiamo già visto così?
In Diva Futura manca qualsiasi tipo di tessuto politico: la didascalica scritta Democratica Cristiana su un edificio non basta per farci entrare dentro il fervore del tempo. Qual è la posizione che il film prende rispetto alla pornografia? Qui si rimane in un rassicurante limbo, sballottolati tra tante porte, opinioni, suggestioni aperte. Avanti ed indietro tra passato e presente, flashback, dimensioni temporali alternate, senza una degna direzione. Senza l’intenzione a voler far arrivare forte e chiaro uno stimolo che possa spingere a pensare, a ripensare il porno di oggi.
Forse, la più grande contraddizione su cui si muove il film non è tanto sul concetto divisivo di pornografia, quanto piuttosto un’altra. Diva Futura è un film in cui la donna e il corpo femminile vengono messi totalmente in primo piano, tant’è che non si vedono mai nudi maschili. Eppure, il protagonista indiscusso è un uomo, gran parte dell’attenzione è data alla sua vita e alle sue (qui quasi beatificate) gesta. Così tanto da lasciare alle altre protagoniste poco spazio, poca possibilità di brillare, come le donne che interpretano un tempo hanno fatto. Ilona, Moana, Eva, sono figure che si intervallano e sembrano raccontarci tutte le stessa storia. Dove sono i dettagli, le particolarità, i tremori delle icone del porno che hanno contribuito alla Rivoluzione sessuale e a dissacrare l’Italia degli anni ’90?
«Perché sequestrano la bellezza?» si chiede un giovane protagonista ad inizio film, riflettendo sui tabù che delimitano-limitano la pornografia. Difficile dare una risposta, ma è sicuramente ancor più difficile che gliela si dia dopo aver visto il film di Stengerwalt.