Stick to the plan. È il ciclico e ossessivo mantra che l’assassino (Michael Fassbender) di The Killer (trailer), nuovo film di David Fincher, presentato in concorso alla Ottantesima Mostra del Cinema di Venezia, continua a ripetersi. Un promemoria su come fare le cose per bene, un avvertimento su ciò che accadrebbe se non si attenesse al piano. Seguirlo è vita, aggirarlo potrebbe essere morte. Siamo nella testa del killer, seguiamo le sue divagazioni, il suo flusso di coscienza, scopriamo i rischi e i pericoli del suo lavoro. Ce lo dipinge come un mestiere qualunque, con i suoi momenti di noia e di tediosa preparazione. Ama i numeri, ha un fetish per le statistiche, dispensa aforismi di dubbia provenienza. È un tipo dal sangue freddo, apatico, calcolatore, in apparenza infallibile. In apparenza, appunto: commette un errore imperdonabile quando il bersaglio assegnatogli non viene colpito dal suo proiettile. Non era pianificato. Le conseguenze sono istantanee e l’assalto subìto dalla moglie Magdala (Sophie Charlotte) scatena la sua ira vendicativa.
Un’ira invisibile, cinica, sottopelle, che non sfocia mai in colpi di testa o improvvisazioni. Stick to the plan. Don’t improvise. Il killer senza nome pianifica tutto nei minimi dettagli, con una precisione quasi compulsiva: è un sicario modello, e il viso di Michael Fassbender è perfetto per restituire l’imperturbabilità del personaggio. Un’imperturbabilità, una totale mancanza di espressività che Fincher pensa bene di compensare proprio con quel flusso di pensieri che permette allo spettatore di avere accesso al personaggio, uno spiraglio impossibile affidandosi ai movimenti di un viso imbalsamato, congelato. Vedendolo così, distaccato ed impassibile, sorge quasi il dubbio che non si stia vendicando per puro piacere di uccidere, ma la formula parla chiaro: don’t do anything unnecessary. Necessario, nel lavoro di un assassino, è attendere e valutare prima di fare la mossa giusta. The Killer è, di fatto, un film di attese, che rivela la collaterale condizione spettatoriale del sicario e o avvicina al fruitore. L’innominato (che in realtà, di nomi, ne ha di innumerevoli) passa la maggior parte del tempo ad osservare i movimenti dei suoi bersagli, li guarda da una finestra, nascosto dietro un parabrezza, li squadra passivo come davanti ad uno schermo. È spettatore quanto noi, il suo stream of consciousness ha l’effetto di instaurare un dialogo con chi ne condivide la condizione, ma poi tocca a lui fare il lavoro sporco.
Quello diretto da David Fincher è anche un film di spostamenti e di velata critica al consumismo (tanto cara al suo regista), una critica che però qui non è più di un eco lontano, di un reflusso, e che mai raggiunge (e non vuole farlo) l’incisività del discorso portato avanti con Fight Club. Il protagonista fa avanti e indietro tra Europa e America, passa per Parigi, New Orleans, Punta Cana: è l’esito della globalizzazione di matrice capitalista e della compressione degli spazi e delle distanze, e i non-luoghi (aeroporti, palestre, hotel) non possono che essere quelli maggiormente calpestati dal personaggio. Mangia da McDonald’s, compra su Amazon strumenti utili all’infiltrazione, si crea una possibilità grazie alla smania consumistica del suo bersaglio. Discorsi comunque solo accennati e mai approfonditi, sfondo impercettibile di una storia che, in tutti i casi, non si regge in piedi e delude le aspettative. Tralasciando una suddivisione in capitoli che è solo un calco linguistico proveniente dal medium di riferimento (il fumetto) e non ha reale rilevanza nella scansione della narrazione, The Killer dimostra la stessa imperturbabilità del personaggio. Nessuno squillo, nessun acuto, freddo e compassato in modo controproducente. E come se non bastasse, un terzo atto che avrebbe potuto cambiare le sorti della pellicola si completa di un finale clamorosamente anti-climatico che distrugge quanto costruito. Insomma, con The Killer David Fincher non dimostra lo smalto di un tempo, dando vita ad un film che trova nel glaciale protagonista sia un pregio che un difetto e che soffre di una scrittura pigra nonostante le possibilità di rifarsi al materiale d’ispirazione (acclamato dalla critica), nonostante l’opportunità di attenersi al piano.
Velata critica al consumismo? Ho fermato lì una lettura già distratta poiché dalle prime righe si capisce che non si vuol criticare il peggior film di quel genio di Fincher (probabilmente una marchetta o un obbligo contrattuale). Dicevo: velata critica? Tendata forse o murata meglio. Qualcuno s’é accorto che ci sono 2 minuti di spot Amazon? Amazon, non Anarchy. Ma… siete del mestiere? Saluti e in bocca al lupo per il sito.
E niente, dovevo leggere tutto. La critica c’è, tremendamente edulcorata e garbata ma c’è.
Chiedo venia, almeno in parte.
Ce l’ho con Fincher non con voi, sorry.