Maestro (trailer) è un’opera intrinsecamente duale. Duale come la personalità del suo protagonista Leonard Bernstein, costantemente scisso tra la sua vita pubblica e quella privata, tra le sue aspirazioni artistiche e le sue rese professionali. Diviso, ancora di più, tra le sicurezze di un matrimonio felice ma conveniente e la naturalezza delle sue passioni inascoltate. Ed è su questo dualismo che Bradley Cooper si sofferma, costruendo un biopic intenso, complesso, a tratti sfuggente e in altri struggente. Un po’ come l’uomo che cerca di mettere a nudo.
Dopo il debutto alla regia con A Star is Born, Cooper sceglie ancora una volta il Lido per presentare la sua seconda creatura cinematografica. Passano cinque anni ma rimane la musica come elemento fondamentale, che in questo caso da pop si trasforma in classica. L’ascesa di una fittizia cantante lascia poi il posto alla carriera di uno dei direttori d’orchestra più celebri e grandi del Novecento. Così nasce Maestro, titolo tra i più attesi di questa Ottantesima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, distribuito da Netflix e prodotto – oltre che dallo stesso Cooper – da firme come Martin Scorsese e Steven Spielberg.
È proprio il tocco di quest’ultimo, se volessimo fare un azzardo, che si sente con evidenza nel racconto di Maestro. Quello di Spielberg, che in origine avrebbe dovuto dirigere il film e che scelse poi di affidarlo a Bradley Cooper per dedicarsi alla realizzazione di West Side Story e The Fabelmans, due titoli profondamente legati alla pellicola in esame. Nel primo caso il collegamento è presto detto: fu infatti Bernstein l’autore delle musiche originali del musical omonimo presentato a Broadway nel 1957. Nel secondo la connessione è invece più velata, sottopelle, quasi come se le due storie – entrambe con al centro un dramma familiare, una crisi coniugale, le difficoltà e le complessità di un rapporto matrimoniale – condividessero l’anima.
Quello di Maestro, dicevamo, è un racconto difficile, complicato, dualistico, tutto racchiuso nell’attrazione gravitazionale di due corpi. Quelli di Leonard Bernstein (Bradley Cooper) e di Felicia Montealegre (Carey Mulligan), la cui relazione dà vita ad un ritratto familiare ed individuale al tempo stesso, intimo e vivamente autentico, soprattutto grazie ad un’intensa interpretazione da parte dei due attori. Una cronaca che porta alla luce le contraddizioni interiori del protagonista maschile, simbolizzate nel suo presentarsi come musicista multiforme, scisso tra la natura del compositore – schiva, introversa, centripeta – e quella del direttore d’orchestra – performativa, rivolta all’ascoltatore e quindi centrifuga. Due nature, due movimenti, che non sono altro che il contraltare della stessa personalità di Bernstein, legato profondamente alla moglie seppure omosessuale.
Lo stesso corpo del film riflette questa doppia polarità, dal momento che nella prima metà adotta un bianco e nero che sa di favolistico, nel raccontare la storia d’amore all’apparenza idilliaca tra i due. Una storia che mostra però chiare linee d’ombra nel comportamento ambiguo dell’uomo, del quale ci è mostrato, finalmente in modo manifesto, l’orientamento sessuale, la tendenza ad evadere, fuoriuscire, dal legame matrimoniale – momento che significativamente avviene dopo il passaggio al colore. In questo contrasto di direzioni, di istinti, di movimenti, è Felicia a rappresentare per Lenny una forza riequilibrante, l’unica in grado di tenere in piedi l’interiorità di un uomo che altrimenti rischierebbe di disgregarsi.
Con Maestro Bradley Cooper dà vita ad un racconto intimamente riuscito, toccante, che si eleva oltre il ritrattismo semplicistico per ricostruire un volto sfumato, ambiguo, contraddittorio e al contempo autentico. L’attore e regista si cala con anima e corpo nelle vesti di Leonard Bernstein, assumendone gesti, portamento e tratti estetici – anche grazie ad un uso del trucco che ne restituisce in modo credibile le fattezze. Le insidie di una simile esibizione facevano forse presupporre un passo falso, eppure la pellicola trova in definitiva il tempo giusto perché la sua esecuzione risulti efficace. O, ancor meglio, sentita.