Non capita spesso ad un regista esordiente di partecipare in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. È questo il caso di Timm Kröger, che con il suo Die Theorie von Allem (trailer) compie un debutto sorprendente, forse uno dei titoli più particolari di questa 80° edizione. Un’opera dal fascino sinistro, insolita sia per il tema – un film di genere come la fantascienza – sia per la sua peculiare messa in scena – in bianco e nero, ricalcando perfettamente gli stilemi della metà del secolo scorso.
1962. In un hotel sulle Alpi svizzere è in programma un convegno di fisica quantistica, in cui uno scienziato iraniano promette di svelare una “teoria del tutto” in grado di rivoluzionare le leggi della materia. Qui si dirigono Johannes Leinert (Jan Bülow), giovane dottorando, e il professore Julius Strathen (Hanns Zischler), suo relatore di tesi. Arrivati all’hotel, i due si immergono in una atmosfera surreale. Lo scienziato a capo del convegno è scomparso, e sopra le montagne per uno strano fenomeno le nuvole sembrano formare una cascata. Ma non è tutto: inquietanti anomalie elettriche minacciano le notti dei convitati, mentre ambigui individui si aggirano per l’albergo – tutti vestiti con cappotto e cappello – ed un’affascinante quanto sfuggente pianista (Olivia Ross) afferma di conoscere Johannes da tempo immemore. Quando via via i personaggi legati al protagonista inizieranno a scomparire, allarmanti conseguenze minacceranno la sua stabilità mentale.
È inutile, forse, parlare della trama di Die Theorie von Allem, se non ragionare su come il carattere alla base della storia si ricolleghi direttamente al particolare genere dell’hard science fiction, ossia quel ramo della fantascienza letteraria molto in voga a metà Novecento – quella, per intenderci, di Arthur C. Clarke o ancor più di Stanisław Lem – che concepiva il fantastico come emanazione di principi scientifici. Nel caso dell’opera di Kröger è la fisica a fare da base per le più funeste tensione sovrannaturali, che caricano ogni istante dell’azione con una promessa di sciagura. E, d’altra parte, il rimando al letterario si fa esplicito, dal momento che il protagonista della storia – ritenuto un folle a seguito degli eventi – sarà costretto a scrivere un romanzo nel tentativo di essere ascoltato.
Allo stesso tempo Die Theorie von Allem declina il genere attraverso un’ispiratissima messa in scena, che si fa espressamente debitrice dei thriller hitchcockiani e del cinema di Fritz Lang. L’utilizzo del bianco e nero, i movimenti di macchina pressanti, la presenza perenne di una colonna sonora titanica ed oppressiva – fatta da fiati potenti e tamburi che scandiscono gli istanti di tensione, creando atmosfere a metà tra l’onirico e il trascendente, l’oscuro, come se ci fosse sempre una forza inespressa in atto. Ogni elemento concorre nel restituire un perfetto aspetto da pellicola dell’epoca, creando al contempo un effetto di falsa cronaca. Ma c’è anche, ad essere onesti, un richiamo più contemporaneo ai toni della connazionale serie televisiva Dark.
Con Die Theorie von Allem l’esordiente Timm Kröger mette in scena una vividissima allucinazione, in cui è impossibile discernere il reale dallo psicotico, trascinando lo spettatore in una spirale di atmosfere angoscianti ed eventi sempre più sinistri. Un’opera prima che dimostra coraggio e originalità (per quanto citazionista) un mystery thriller che lascerà sorpresi gli spettatori di questa edizione di Venezia 2023.