#Venezia79: Un Couple, la recensione del film di Frederick Wiseman

Un Couple

Una donna siede sola davanti ad uno scrittoio, in procinto di scrivere una lettera. Così facendo inizia a parlare rivolgendosi a suo marito, destinatario di tale missiva. Quella donna è Sonja Tolstoj, e suo marito Lev Tolstoj, il grande romanziere russo. Da qui in avanti si potrebbero dire tante cose di Un Couple, un po’ come ci si accanisce su un conciso testo poetico affinché “parli” dischiudendo il suo significato più ampio. Allo stesso tempo, l’alquanto atipico film di Frederick Wiseman, in Concorso alla 79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, potrebbe essere racchiuso in un’assai stringato riassunto.

Ci troviamo di fronte, con un certo sgomento iniziale da parte dello spettatore, ad un lungo e unico monologo che compone l’intero film, quello di una donna che rivolge intime parole al marito, all’uomo che ama. Un Couple segue infatti, per tutta la sua durata di poco più di un’ora, la voce e il volto di un unico personaggio, la citata Sonja, interpretata da una seppur perfetta Nathalie Boutefeu. E a voler essere semplicemente schietti (o superficiali o cattivi, lascio a voi la scelta dell’aggettivo giusto), potremmo fermarci qui. Ma per onor di cronaca dovremo addentrarci nella materia del film, non senza accorgerci, in ultima analisi, della profondità del suo lungo discorso.

Sonja Tolstoj visse accanto al celebre marito per quarantotto anni. Anni durante i quali la donna gli prestò anche aiuto nel suo lavoro di scrittore, mentre il loro rapporto coniugale si distinse per una natura burrascosa e altalenante. Un rapporto complesso e tutt’altro che facile, che Sonja affidò alle pagine dei suoi diari, sui quali si basa la sceneggiatura di Un Couple. È la voce di una donna, quella che risuona per tutto l’arco del film, che rivela tutta la sua intimità spirituale ed emotiva, come se attraverso le sue parole volesse affidare la sua intera persona al compagno della sua vita.

Un accorato monologo che in realtà è inframmezzato da frequenti immagini della natura, tra i cui ambienti si aggira la donna. Una natura che possiede a sua volta una voce, a volte sovrastante, a volte dialogante; una natura alla quale Sonja si rivolge come se in essa fosse contenuta l’essenza stessa del suo amato. E così ad ogni passaggio tematico corrisponde un controcanto ambientale, come se al suono della donna si accordasse quello degli uccelli, del vento, delle foglie fruscianti.

Ma non è certo un idillio quello che emerge dalla voce della donna, a dispetto del paesaggio ameno in cui si svolge la sua rappresentazione. Le parole di Sonja sono infatti quelle di un’amante tormentata, di una moglie avvilita, di una madre infelice. La donna che affida all’uomo la sua voce è una donna alla ricerca di se stessa, di una identità perduta poiché vissuta in funzione del marito. Un’amante che ricerca inutilmente nell’amato ogni conforto, una moglie che si fa serva della sua posizione coniugale, una madre che non vede riconosciuti i propri sforzi.

Insomma quello di Un Couple è un appassionato lamento di una donna alla ricerca della sua libertà emotiva e spirituale, che allo stesso tempo fa i conti con i paradossi della sua ricerca al contatto con l’amore e la concezione patriarcale di quest’ultimo. D’altra parte, tornando al discorso da cui siamo partiti, il film di Wiseman rimane un’opera di difficile fruizione, che presumibilmente può trovare ragione della sua esistenza soltanto all’interno del circuito festivaliero. Un film d’arte e impegnato, un’elegia lenta e silenziosa, che con tutta probabilità non sopravvivrebbe alle leggi del mercato (e del pubblico) più ampio.

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