Tooba Bashir Gondal è una ragazza nata a Parigi, di origini pakistane e con permesso di soggiorno britannico. Nota alle cronache per l’intensa attività di propaganda per lo stato islamico effettuata via Twitter dal 2014 al 2017 circa (sotto lo pseudonimo di “Umm Muthanna al-Britaniyah”), che le è costato il titolo di “Matchmaker dell’ISIS”. Questa promozione si è poi tramutata in un supporto più vicino alla causa, a un trasferimento in Siria a soli venti anni nel “dawlah” (stato islamico), fino agli scontri di Baghouz tra l’esercito di liberazione curdo – YPJ – e i miliziani dell’ISIS e alla prigionia nel campo di Al Hol (che al 2019 contavano circa milleduecento donne e bambini catturati.
Potremmo sintetizzare così la trama di The Matchmaker (trailer), documentario su Tooba Gondal diretto da Benedetta Argentieri e presentato Fuori concorso alla 79° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Un ritorno in terra siriana da parte della documentarista italiana, che ha fatto di questo conflitto il focus principale della sua filmografia (fino ad ora). Lo fa attraverso un film dall’impronta televisiva, un classico reportage, fornendo molte informazioni che ci catapultano subito all’interno delle coordinate mediorientali.
E rieccoci a Tooba, che dopo la caduta del califfato di Daesh si sta allontanando dall’ISIS. O forse così sembra. Non è un caso che, negli istanti appena precedenti le prime immagini della ragazza, Argentieri faccia parlare Aryian Qamishlo, comandante sul campo del YPJ. L’uomo classifica come “dormienti” le cellule dello stato islamico e soprattutto come violente più le donne che gli uomini. Tooba, quindi, è dello stesso avviso? Lungo l’intervista, effettuata nel 2019, che occuperà gran parte del film, la ragazza si mostrerà pentita, così come spesso dirà semplicemente di non ricordare quanto la regista le chiede (soprattutto sui tweet circa il ruolo che mediaticamente ha ricoperto negli anni).
Le informazioni a schermo, intanto, si accumulano: tweet di Tooba, definizioni di alcune parole (“Kafir”, “Sabaya”, “Khatiba”, e così via), immagini da telegiornali, interviste esterne (a Simon Cottee, per esempio, professore dell’Università del Kent). Ma nulla, oltre a darci qualche nozione in più sulla posizione della donna (in generale) all’interno della società immaginata, sembra scalfirci. Neanche quel momento di commozione quando si torna a parlare degli attenti di Parigi del novembre 2015.
È un film dotato di due facce, The Matchmaker, che assolve alla perfezione il compito di portare luce su una figura che in molti ancora non conoscono. Ma allo stesso tempo, semplicemente, non funziona poiché non riesce a far sollevare domande sulla natura ambigua della protagonista.