#Venezia79: The Hanging Sun, la recensione del film di Francesco Carrozzini

the hanging sun

Come film di chiusura della 79esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia la scelta è ricaduta su The Hanging Sun (trailer), thriller tutto violini in sottofondo e filtro cromatico da freddo nelle ossa. È la prima opera di finzione diretta da Francesco Carrozzini, noto più che altro nel mondo della fotografia e dei video musicali, e scritto da Stefano Bises a partire del romanzo Midnight Sun di Jo Nesbø.

L’intreccio è la classica storia di padri padroni (Peter Mullan) e figli (Alessandro Borghi) che a un certo punto non ne possono più. In particolare questo padre coinvolgeva suo figlio John, adottato in tenera età, all’interno delle sue non meglio specificate azioni malavitose, costringendolo a compiere omicidi e altre nefandezze simili. Quando John, che è quello che dovrebbe avere una coscienza, dichiara di averne abbastanza e si ritira in una sperduta isoletta del Regno Unito timorata di Dio, il caro papà mette sulle sue tracce l’altro figlio, quello biologico (Frederick Schmidt). E questa alla lunga insipida caccia all’uomo si interseca con la storia di un problematico nucleo familiare dell’isola, dove Lea (Jessica Brown Findlay) è costretta a subire le angherie del marito (Sam Spruell) mentre tenta anche di proteggere suo figlio (Raphael Vicas).

Appare quindi chiaro su quali incastri e traiettorie di senso il film vuole andare a giocare le sue carte, in un progressivo avvilupparsi della violenza attorno alle persone che vengono a contatto con l’arrivo di questo estraneo sepolto sotto una lunga barba e pesanti giacche a vento. Il materiale per tirare fuori da The Hanging Sun un onesto racconto di genere ci sarebbe pure. Una comunità chiusa e rozza il cui equilibrio è improvvisamente sconvolto dall’arrivo di un elemento di disturbo, un’ombra dal passato che si trascina dietro un’ingombrante scia di sangue, un incrocio magari didascalico ma sensato tra le varie parti in gioco.

Il film si configura però come un’opera monocorde nei toni, nell’ambientazione nebbiosa, nella ferocia dei conflitti che a un certo punto si ritrovano inevitabilmente a collidere. Il setting narrativo tutto sommato funziona, le performance fanno il compito (tutte dure, occhi segnati e denti stretti come vuole quest’aspra isola), ma è nella scrittura che manca il reale senso di una minaccia che bracca da vicino, una tensione che monti almeno con metà della frequenza con cui sale un accompagnamento sonoro dopo un po’ pedante.

The Hanging Sun si nutre di facili metafore ma non le mette mai in funzione dello strappo, del rischio di perdere una posta in gioco chiusa dentro il mantello dolente di cui il film si va a ricoprire. Quando arriva la resa di conti si perde addirittura dei pezzi per strada, si dimentica di chiarificare alcuni passaggi del racconto e non chiude linee narrative che fino a un secondo prima erano parte del vortice che si sta stringendo sopra John. Un po’ pasticciato e inconcludente nel finale, quando dopotutto sarebbe bastato anche poco per portare a casa un lavoro formale ma pulito. Finirà direttamente su Sky (che produce assieme a Groenlandia e Cattleya), dove un pubblico serale potrebbe magari trovarlo.

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