On the Fringe, “ai margini”, è il lungometraggio d’esordio diretto dall’attore argentino Juan Diego Botto, presentato in concorso nella sezione Orizzonti della 79esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Un film ai margini della società spagnola, che ci catapulterà nelle ventiquattrore di una giornata come le altre di tre personaggi, due dei quali – Rafael e Azucena – interpretati rispettivamente da Luis Tosar e Penélope Cruz (protagonista anche in Concorso con L’immensità di Emanuele Crialese). Il film, tra gli altri, vede anche la stessa Cruz nei panni della produttrice, in rappresentanza della On the Fringe AIE.
Botto – che ha anche scritto il film assieme a Olga Rodriguez – con On the Fringe racconta il dramma degli ultimi nella Spagna contemporanea, dove negli ultimi dieci anni, come recitano i cartelli finali, sono stati eseguiti più di quattrocentomila sfratti, una media di cento al giorno. Viene subito da pensare a Ken Loach, a un copione del sodale Paul Laverty, per il primo atto al fulmicotone, dove con chiarezza e un ritmo sostenuto, che lascia presagire il peggio ad ogni scena, vengono delineati tutti i conflitti.
Rafael è un avvocato che deve occuparsi di una delicata questione familiare, dove una giovane madre di origine arabe rischia di perdere l’affidamento di sua figlia (di forte impatto la scena dedicata all’arrivo della polizia in casa della bambina); Azucena e Manuel, interpretato dallo stesso Botto, rischiano lo sfratto; German, dopo aver perso il suo negozio cerca disperatamente lavoro, mentre la madre continua a chiamarlo per comunicargli qualcosa di urgente.
Di fronte a drammi sociali quali On the Fringe il terreno è più che scivoloso. Quello che traspare è una grande dedizione da parte di Botto, onestà nel raccontare e dire la propria su un argomento importantissimo e attuale, così come traspare un’ottima direzione degli interpreti (pregevole il long take in coppia con Penélope Cruz). Ma d’altro canto segnaliamo una sorta di mancanza di fiducia nelle immagini dirette.
Un esempio su tutti: l’utilizzo della musica. Il film si apre con un’esposizione, come anticipato, di tutti i conflitti cui assisteremo. Botto accompagna tutto sin da subito con un commento musicale che altro non fa, come se non bastassero le espressioni, rabbiose e disperate, dei suoi interpreti, che appesantire l’atmosfera generale. Un commento che da una parte lega ad un filo tutte le storie, che verranno anche ad incontrarsi, ma totalmente fuori luogo. Le immagini però chiariscono subito tutto, sanno parlare per conto loro, ci dicono tutto. Quest’uso reiterato della musica arriverà anche nel finale, dove la regia di Botto si farà ancora più pomposa, chiamando in causa il ralenti e persino un fermo immagine.
Stesso discorso per la sceneggiatura. Botto procede per ripetizioni, teme che il suo spettatore dimentichi alcune informazioni e così, semplicemente, ce le ripropone. Di nuovo, un esempio: lo scambio di battute tra Rafael e Raùl, il suo figliastro (-“Lui è mio figlio” -”Figliastro”). Una pinza valida per la costruzione e l’approfondimento della storia di Rafael, ma ripetuta fino all’inverosimile (così come le molteplici multe che lo stesso personaggio prenderà nel corso del film).
On the Fringe in sostanza rimane un discreto film di genere, di forte impegno, che però non lascia molto per forma e carattere. Decisamente un peccato.