Una grandissima sorpresa. Così potremmo definire Music for Black Pigeons, documentario diretto da Jørgen Leth e Andreas Koefoed presentato Fuori Concorso alla settantanovesima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il film prende le mosse dall’incontro dei due registi a New York nel 2008, durante le registrazioni di Balladeering, primo album con ospiti internazionali di Jakob Bro. Bro è un chitarrista danese d’estrazione jazz, autore di musica spesso improvvisata dalle atmosfere folk e ambient. La sua ricerca, come sostiene nel documentario, è quella della “giusta atmosfera”, di sinergia con gli altri musicisti al primo take (naturalmente registrato “live”, tutti insieme, non attraverso tracce separate).
Ma cos’ha quindi di speciale questa sessione? Beh, senz’ombra di dubbio gli ospiti: Bill Frisell, Lee Konitz e Paul Motian. Stelle del jazz che hanno suonato nella loro prolifica carriera con le leggende del genere; musicisti esperti mossi da una continua ricerca quotidiana di quel suono indefinito, neanche della perfezione, che solo chi suona può capire. E proprio attorno a questo ruota Music for Black Pigeons.
Documentario dalla struttura frammentata, che narra i quattordici anni che seguiranno quel primo mitico incontro a New York. Un film “globetrotter”, che parte da New York per arrivare a Tokyo, passando per Copenaghen e Sisimiut, sfondo di una sequenza magica, dove spiccano i fraseggi di Tom Morgan al contrabbasso. Quattordici anni sono molti. Alcuni dei protagonisti moriranno (come Lee Konitz o Tomasz Stańko, cui Bro dedicherà la toccante To Stanko), ma la loro presenza resterà forte, il loro spirito si aggirerà ogni qualvolta Jakob Bro inizierà a suonare e poi a dar vita all’album successivo.
Gli spiriti. Music for Black Pigeons non è altro che un elogio al lato spirituale della musica, alla sua capacità di mettere in relazione anime le cui storie seguono traiettorie disparate (basti pensare ai siparietti comici con Konitz o il risveglio di Morgan), lontane ma così distanti quando convergono verso un unico obiettivo. E Leth e Koefoed cercano di non farsi sfuggire nulla. Tutto è musica nel documentario: dalle interviste alle prove; dai viaggi in aereo, dove Bro continuerà a scrivere e a pensare nuovi brani; il dettaglio delle mani che viaggiano su uno strumento; lo stesso montaggio del film, mosso dalla stessa libertà, dal gesto dell’improvvisazione che guida i musicisti durante le varie registrazioni e concerti.
<<Come ti senti quando suoni?>>. Forse a qualcuno sfuggirà il senso di tutto ciò. Forse fare musica unicamente per quel piccione nero che si poggia fuori dalla nostra finestra non ha il minimo senso, perché potremmo benissimo aver pensato a prenderci cura di noi stessi piuttosto che suonare. Ma allo stesso tempo quanto è bello restare senza parole, come Tom Morgan, che non può far altro che commuoversi di fronte a quella semplice domanda. Quant’è bello far parlare al posto nostro la musica e le immagini.