Come poteva non aprirsi all’interno dei tanto riconoscibili corridoi di una high school Bones And All (trailer), il nuovo film di un Luca Guadagnino che al mondo dell’adolescenza pare riservare sempre più attenzioni. In queste coste ha volto uno sguardo prima con l’apprezzatissimo Call Me By Your Name, probabilmente il suo capolavoro, e poi con la serie TV We Are Who We Are, l’uno antesignano dell’altro nel trattare in maniera sempre più incisiva il percorso di scoperta identitaria legato a doppia mandata alla malleabilità dei teenagers.
E di identità si parla anche in questo film, scritto da David Kajganich a partire dall’omonimo romanzo di Camille DeAngelis e presentato in Concorso alla 79esima edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Una identità che si innesta sulla natura erratica di un’opera che sceglie il road movie per raccontare il percorso di scoperta e accettazione di Maren (Taylor Russell), ragazza giovanissima costretta a spostarsi da uno stato all’altro degli Stati Uniti con il padre (André Holland) perché custode, e portatrice, di un segreto indicibile alla luce del giorno.
Maren è una cannibale, finora ha celato bene il richiamo del pasto, ma adesso le sue necessità paiono essere mutate. Il padre esce poi presto di scena e lascia alla figlia solo una cassetta dove ha raccolto per lei alcune indicazioni sul mistero di chi e dove sia una madre la cui ricerca fa da propulsore ai primi due terzi del film. L’incontro con un altro giovane cannibale, Lee (Timothée Chalamet), diviene poi la linea conduttrice di un Bones And All che nel bisogno di capire, assieme, i tempi e i modi del vivere la necessità del banchetto raccoglie il coming of age dove il cannibalismo è il chiaro specchio della pulsione sessuale e dalla vibrazione erotica che la circonda.
In qualche maniera lo aveva già fatto, e sotto certi aspetti anche in maniera più incisiva, il Raw della recente Palma d’oro Julia Ducournau. Perché un po’ a sorpresa, dopo la netta rivisitazione di Suspiria, Guadagnino non si spinge poi così tanto in là a calcare la mano sull’esposizione di questo bisogno che diviene quasi incontrollabile. Bones And All è più mitigato di quanto ci si possa aspettare o di quanto sia stato nell’attesa chiacchierato. Non è particolarmente febbrile nei morsi di cui Maren ha sempre più bisogno, e nemmeno poi così tanto deciso nel lato più strettamente sentimentale che si pone a tappeto di una storia che, di fondo, è tutta d’amore.
È un’opera di certo suadente e corporea (il sudore, l’odore, il puzzo), dalla spiccata capacità di comprimere all’interno dell’inquadratura i contrasti visivi di un entroterra statunitense aspro e suburbano (siamo nel Midwest degli anni Ottanta) in cui si cerca sempre, in ogni momento, la bellezza. Dalle pareti scrostate in una stanza che fa da giaciglio di coppia alle ciminiere fumanti di una centrale che si pone sullo sfondo di un’abitazione che è casa; da una violenza che significa appropriarsi una volta per tutte del proprio Io, a un volto grondante di sangue dopo che si è consumato un estremo atto d’amore. Guadagnino dipinge il sentimento, anche grazie al supporto della porosa fotografia di Arseni Khachaturan e alle azzeccatissime musiche d’accompagnamento di Trent Reznor e Atticus Ross.
Questo non lo si può negare e rende il film un’opera più di valore epidermico che di shock improvvisi, dove il ragionamento sul posizionamento identitario («chi sei, non cosa sei» le viene detto) in fin dei conti si sfilaccia nelle retrovie di un discorso che non si assesta mai tra eredità genetica e scelta di come stare al mondo. Come con la questione della madre, liquidata a un certo punto in un paio di giri d’orologio. Ci può stare, il film si nutre altrove. Bones And All fa insomma suoi tutti gli stilemi più tipici dello young adult (già propri del romanzo di riferimento) incorniciandoli in una storia alla fine non affatto estrema, non affatto scandalosa, tutt’al più tenera il cui plus sta nella mano del regista.