La Paz, capitale della Bolivia, è una metropoli alquanto singolare: situata a 3500 metri dal livello del mare e percorsa via aria da ben 32 chilometri di funivia, piuttosto che via terra dalla metropolitana. Un dato, anch’esso, peculiare. E proprio dall’aria, unico spazio, secondo l’amministrazione, percorribile per evitare l’eccessivo affollamento nelle strade e il congestionamento del traffico, inizia El gran movimiento, film di Kiro Russo presentato in concorso a Orizzonti.
Le prime inquadrature, appunto, ci mostrano La Paz a partire dal suo sviluppo verticale, dai grattacieli completati a quelli in costruzione, con il raccordo sonoro dei vari rumori di fondo dei cantieri. Suoni che ci introdurranno, metaforicamente, alle proteste in piazza di un gruppo di persone che reclama per un posto di lavoro. Tra di loro scorgiamo Elder (Julio César Ticona) e i suoi amici, tre giovani minatori giunti a piedi nella capitale da Huanuni, un piccolo paese di 18000 persone, dopo ben sette giorni di cammino.
I ragazzi ripongono molta speranza ne La Paz: sognano ad occhi aperti, percorrendo in funivia tutta la città, di passare in breve tempo dalle zone malfamate a quelle più ricche, di arrivare a possedere una villa. Nei primi minuti del film veniamo introdotti anche a Max (Max Bautista Uchasara), “santone” che vive nella fitta, e suggestiva, boscaglia ai confini della capitale e che vede di ben altro occhio la metropoli boliviana. Come confesserà ad un altro personaggio, una signora anziana – Mama Pachita – che si presenterà come conoscente di Elder, lui vede costantemente un demone percorrere le strade dei mercati della città, che condurrà alla fine di tutto (“La Paz sarà ridotta in polvere”).
Per quanto possa apparire lineare e già sentita la trama di El gran movimiento, l’approccio di Russo è decisamente lontano anni luce da qualsiasi aspettativa. Si presenta come documentario d’osservazione (teleobiettivo, zoom o camera fissa) per poi sembrare un guerrilla movie (attraverso un massiccio utilizzo della macchina a mano). In seguito, si lascia trasportare dal macabro fascino della figura del santone, muovendo verso derive sperimentali/psichedeliche (l’utilizzo del buio e le sequenze notturne, di dissolvenze incrociate, le immagini del lupo bianco), per poi tornare ad essere un documentario (le interviste frontali) e, ciliegina sulla torta, un musical (l’inaspettato intermezzo musicale).
Kiro Russo con El Gran Movimiento prende continuamente una strada alternativa, arrivando a dirigere un film unico nel suo genere. E forse il vero fascino sta proprio nelle scelte, nella giustapposizione di idee totalmente distanti l’una dall’altra, e nella moltitudine di rischi che in non pochi momenti minacciano di far cadere il film nell’oblio e nell’incomprensibilità più totale.