#Venezia78: Al Garib, recensione del film di Ameer Fakher Eldin

Al Garib – letteralmente Lo stranieroè il film d’esordio del regista siriano Ameer Fakher Eldin, in concorso nella sezione parallela della Mostra Giornate degli Autori. Adnan (Ashraf Barhoum), ultimo degli ultimi, vive al confine di un piccolo villaggio delle alture occupate del Golan. È un medico senza licenza e ha sempre vissuto all’ombra del padre, figura autoritaria che in tenera età, non soddisfatto da un figlio come lui, lo ha diseredato. Ha una moglie e una figlia che non vede mai e da cui si tiene costantemente alla larga, per evitare di affrontare il discorso di un possibile abbandono della terra natia (la scena d’apertura). Le sue giornate trascorrono impassibili, in un frutteto che non gli porta nessun tipo di guadagno, accompagnato dal suo cane storpio e dall’alcool, unico rifugio contro l’universo.

L’esordio di Eldin (a tratti autobiografico) si apre come una storia piccola su un uomo che non vuole accettare le proprie responsabilità, che fatica persino a sopravvivere, schiacciato com’è dalle etichette e dal poco rispetto che “i suoi cari” gli mostrano. Un peso, quello che deve sopportare il nostro protagonista, che si intreccia con il dolore di un popolo intero, apparentemente relegato fuori campo (la continua guerriglia tra siriani e israeliani oltre il confine). E l’utilizzo del formato 4:3, che stringe ancor di più i confini dello spazio diegetico, restituiscono il senso di oppressione provato da Adnan.

Ma il destino è cieco per il nostro protagonista. Un giorno, infatti, avrà la possibilità di soccorrere quello che sembra essere uno straniero (che poi si scoprirà essere siriano) gravemente ferito trovato oltre una recinzione. E quella che sembra essere l’ultima, o la prima, grande chance di riscatto personale, diventa possibilità di ridare vita a un uomo e di ritrovare la propria, in una corsa contro il tempo. Ed è proprio dal tempo e dalla mancanza di vita che si apre Al Garib, con un verso di Al-Mutanabbi (poeta arabo vissuto nel X secolo): “Desidero che il tempo conceda a me ciò che il tempo non concede a sé stesso”. Ciò che cerca disperatamente, e silenziosamente, Adnan (il vero straniero della vicenda?) è vita dove sembra non essercene.

Eldin approfondisce ulteriormente la tragedia del suo popolo con immagini ricorrenti: paesaggi nebbiosi, una mucca che oltre al latte perde costantemente del sangue, o anche le fotografie che “lo straniero” siriano conserva con sé, memorie di tempi andati. E allora in un mondo che sembra aver perso la memoria e dimenticato, o volontariamente accantonato, questioni come quella del Golan, titoli come Al Garib sono più che mai necessari. 

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