È ormai assodato come uno dei più grandi pregi dei festival, delle sezioni parallele in particolare, sia quello di far luce su una serie di temi (e di dinamiche) a noi sconosciuti, la maggior parte delle volte. Temi spesso vissuti da giovani autori sulla loro stessa pelle, e che grazie al cinema riescono ad uscire dai confini nazionali e ad aprirsi al mondo. È così per molti film già visti negli anni passati e in questa edizione della Mostra del cinema di Venezia, proprio come 7 Prisioneiros. Secondo film di Alexandre Moratto presentato a Orizzonti Extra. Il film vede nelle figure di produttori Rahmin Bahrani e Fernando Mereilles (già produttori del debutto di Moratto, Socrates). Distribuisce Netflix.
Il focus di 7 Prisioneiros è lo sfruttamento del lavoro in Brasile, precisamente nei sobborghi di San Paolo. La grande città brasiliana è l’opportunità della vita per Mateus (Christian Malheiros), che vorrebbe tanto permettere a suo madre di abbandonare il lavoro nei campi e garantire un futuro migliore alla sua famiglia, residente nella microregione di Catanduva. Il nuovo luogo di lavoro, una discarica, riserverà però brutte sorprese. Il proprietario, Luca (Rodrigo Santoro), è una sorta di boss locale, pedina fondamentale di un sistema di traffico di essere umani che copre tutta la città (e forse tutta la nazione).
Moratto dirige un thriller sin dai primi minuti serrato e molto teso, che non sembra far altro che andare dritto al punto ed essere chiaro sull’esposizione degli argomenti. Insomma, un film di genere in piena regola che, pedissequamente, segue le tappe di un viaggio dell’eroe – Mateus – in cerca di libertà. Ma il regista tende anche a mischiare le carte, e confondere lo spettatore sulle ardue scelte etico-morali che il nostro eroe prenderà. Ad un’intuizione per raggirare la truffa subita da Luca, infatti, Mateus cadrà vittima di un sistema più grande di lui.
Tutti nell’universo di questo film sono prisioneiros di qualcun altro, tutti sono corrotti e la libertà (in questo specifico contesto, la povertà, come dirà Luca) non sembra essere contemplata. Moratto in pochi minuti alzerà ancora di più l’asticella, in due sequenze in particolare (il primo giro in macchina di Mateus e la festa in piscina), puntando a parlare non solo più di un fenomeno, ma di una complessa piaga che il Brasile sta prendendo come società. E tutto sembra clamorosamente virare verso i territori di un cinema politico.
Ma proprio quando si tratta di affondare il colpo finale (e, volendo, di mostrare cose ben peggiori di quelle mostrate fino a quel momento), 7 Prisioneiros fa dieci passi indietro. Moratto si accontenta di un accenno, della superficialità di un duro atto di accusa che, se approfondito, avrebbe potuto lasciare il segno. Si ritorna ai brutti affari di quartiere, a narrare la storia di Mateus e di Luca, ad un film che abbiamo già visto molte altre volte.