Florian Henckel Von Donnensmark è senza dubbio il più abile regista dell’epopea tedesca. Come ha già ampiamente dimostrato un decennio fa con Le vite degli altri (2006), anche in questo suo ultimo lavoro ritroviamo sullo sfondo la Germania divisa del XX secolo. Vista la considerevole durata del film (188 min) Opera senza autore (Werk ohne Autor) può davvero considerarsi come un grande mosaico di storia tedesca. Lo stesso regista – che in conferenza stampa del Festival ha parlato in un perfetto italiano – è d’accordo.
Il film è ispirato alla storia di Gerhard Richter, pittore di Dresda, nato nel 1932. Nel film però si chiama Kurt Cobain. Costui da bambino deve osservare il ricovero psichiatrico della sua amata zia Elisabeth (la cui fine è segnata dalla camera a gas come da regolamento nel regime nazista). Da ragazzo frequenta l’Accademia d’arte dove conosce la bellissima Elisabeth, detta “Elli” (Paula Beer). Esatto, si chiama proprio come sua zia e le assomiglia pure un po’. Se ne innamora, iniziano una relazione clandestina per via della severità del padre di lei, il temibile medico ginecologo Professor Seeband (Sebastian Koch). Elli rimane incinta, e quando il padre ne viene a conoscenza decide di farla abortire senza un minimo di sensibilità e con l’intento di distruggere il rapporto amoroso tra i due. Ma i due amanti continuano la loro storia, e Kurt continua imperterrito nello sviluppi di una sua concezione d’opera d’arte: astrazione e dubbio. I suoi foto-dipinti non devono essere opere decifrabili, si tratta quasi sempre di paesaggi, di foto ri-disegnate, alcune delle quali puramente casuali – come le fototessere delle cabine pubbliche (da qui il concetto di “opera senza autore”). Ma proprio mentre Kurt inizia ad affermarsi sullo sfondo della Germania divisa degli anni 60 con le canzoni di Francoise Hardy in sottofondo, l’artista scopre che il Professor Seeband è stato il medico responsabile dell’internamento di sua zia Elisabeth trent’anni prima. Pentito di quel gesto nei confronti della donna che lo supplicava di non rinchiuderla chiamandolo “papà” (il medico avrebbe potuto essere infatti suo padre), decise in seguito di chiamare sua figlia come quella vittima innocente.
Opera senza autore riflette sulla dimensione estetica dell’arte, della vita e dell’amore. Con un’ammirevole cura per due degli elementi fondamentali del cinema, la luce e il suono, può considerarsi come il lungometraggio che sancisce definitivamente la piena maturità di Henckel Von Donnensmark. Seguendo la logica della struttura a tre atti nel più rassicurante dei modi, riesce a inculcare nello spettatore una sottile e delicata suspense che lo spinge a seguire fino in fondo le scelte dei vari personaggi. Ovvio quindi un forte processo di immedesimazione spettatoriale, avvalso indubbiamente da una sottile componente di sensualità, mai morbosa. Di conseguenza il film riscatta il cineasta di Colonia dal parziale fallimento della trasferta americana di “The tourist” (2010) e lo riconferma come un vero oratore omeriano della storia del suo paese.
Brillante e ben mirato, il cast del film presente nelle giornate del Lido di Venezia in una conferenza stampa affollatissima e molto divertita, dove Von Donnensmark e il protagonista Tom Schilling rispondono alle perplessità sul concetto di filosofia dell’arte che il film sembra voler far trasparire. La bella protagonista Paula Beer (già vista in “Franz” (2016) di Ozon) ad una mia domanda “come mai hai interpretato soltanto film ambientati nel passato?” risponde con un sorriso molto distinto “è una caratteristica del film tedesco e di noi tedeschi, ma ho interpretato anche film ambientati nel presente, spero possiate vederli presto…”
Naturalmente viva e genuina la premiere in Sala Grande con un pubblico e dei cronisti che – per nulla stremati dopo tre ore di immagini – hanno applaudito gli interpreti per quasi dieci minuti. Per il momento la critica nostrana sembra storcere il naso, lamentando una regia televisiva o comunque troppo seriale, ma il film avrà sicuramente modo di riscattarsi a breve con il Toronto International Film Festival. Per l’Academy Award (dove è in gara per il miglior film straniero) è presto per una previsione, ma visto il vecchio successo de “Le vite degli altri” con Von Donnensmark non si può che essere fiduciosi!
di Gianmarco Cilento