Il 26 settembre del 1894 l’ufficiale d’artiglieria dello Stato Maggiore Francese Richard Dreyfus viene accusato di aver fatto trapelare informazioni sensibili inviando una lettera a Maximilian von Schwartzkoppen, un militare della Germania. Dreyfus è un patriota, alsaziano di origini ebree e sembra non aver motivo di tradire l’esercito francese. Pochi mesi dopo, però, viene condannato per alto tradimento e disonorato dall’esercito. Mentre viene esiliato sull’Isola del Diavolo, una colonia penale nella quale viene sottoposto ad un trattamento terribile e umiliante, il colonnello George Piquart, nuovo capo dello spionaggio militare, nutre più di una perplessità sul caso e nel giro di poco tempo comincia un’indagine sempre più personale e segreta che lo condurrà di fronte alla realtà dei fatti: Dreyfus è vittima di un complotto. Chi c’è dietro questo complotto? Perchè? E soprattutto, per coprire chi?
È J’Accuse il titolo di uno dei più celebri testi giornalistici di Emile Zola, ripreso da Roman Polanski nel suo ultimo film in concorso alla 76esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Fedelmente ispirato all’omonimo romanzo di Robert Harris, il regista si conferma sempre più originale e geniale sotto diversi punti di vista.
Polanski crea un’atmosfera particolare del periodo della Belle Epoque, grazie anche ai costumi magistralmente curati da Pascaline Chavanne e alla scenografia di Jean Rabasse. È un riassunto in immagini dell’opera di Harris in cui gli attori si muovono in modo e in uno spazio preciso e coerente. Impeccabile la fotografia semi-sfocata di Pawel Eldeman, lo stesso con cui Polanski aveva collaborato ne Il Pianista. Il risultato è un’opera sciolta senza intoppi rendendo il film gradevole sin dalla prima inquadratura.
Da Louis Garrel a Emmanuelle Seigner (moglie del regista), da Vladimir Yordanoff a Jean Dujardin, fino ad arrivare a Melvin Poupard e Mathieu Amalric: tutti quanti all’altezza di uno dei lavori più riusciti del regista polacco. Curiosa la presenza dell’italiano Luca Barbareschi che non solo ha collaborato al film in veste di marito della Seigner, ma ne è anche uno dei produttori.
La terribile burocrazia e la mediocrità del potere con cui il colonnello Piquart ha avuto a che fare nel tentativo disperato di procurarsi un alibi non è un fatto storico fine a se stesso. L’affare Dreyfus è soltanto una “scusa” per dirci qualcosa di più: J’Accuse tratta di egoismo, di controllo sui più deboli, di corruzione e di ingiustizia. Ed è per questo che Polanski è più attuale che mai: l’essere umano erra e anche se cambiano le mode, cambia la tecnologia, cambiano le esigenze, quello che è sedimentato da sempre nell’uomo non svanirà mai.
L’efficacia di questo film sta nella capacità di trascinare lo spettatore in un mondo unico, un viaggio virtuoso a tratti claustrofobico ed incredibilmente coinvolgente le cui parole pesano moltissimo. J’Accuse è un film che segna un traguardo importante per l’autore e che rimane nella mente e nel cuore di chi lo guarda. Che la corsa al Leon d’Oro abbia inizio.
In uscita in Italia col titolo J’Accuse -L’Ufficiale e la spia, sarà nelle sale a partire dal 21 novembre.