Rimettere mano, a distanza di vent’anni, su un fatto che ha caratterizzato le vite di una porzione territoriale ben definita è un azzardo. Il rischio di fallire, o di essere frainteso, incombe nel momento in cui si va incontro all’inevitabile necessità di risvegliare i ricordi sgradevoli dei diretti interessati. Il giornalista Pablo Trincia questo lo sa bene. Quando, nel 2014, iniziò ad indagare sul caso dei Diavoli della Bassa Modenese dovette fare i conti con la riluttanza generale dei protagonisti della vicenda a ricordare.
Le sue indagini confluirono nel podcast da sette puntate Veleno, pubblicato online sul sito del Fatto Quotidiano nel 2017, e nel libro Veleno. Una storia vera, pubblicato da Einaudi nel 2019. La ripresa di questa vicenda ispirò Ettore Paternò a produrre la docu-serie televisiva Veleno: the Town of Lost Children (trailer), distribuita dal 25 maggio 2021 sulla piattaforma di streaming online Amazon Prime Video.
La serie racconta, nell’arco di cinque episodi diretti da Hugo Berkeley, tutti gli avvenimenti riguardanti l’inchiesta dei Diavoli della Bassa Modenese, termine con il quale si indica una presunta setta che, tra il 1997 e il 1998, avrebbe organizzato riti satanici durante i quali sarebbero stati molestati e uccisi diversi bambini a Mirandola e Massa Finalese, appunto nella Bassa Modenese. Le vicende dei sedici bambini coinvolti, le rispettive famiglie, biologiche ed affidatarie, gli avvocati e gli assistenti sociali si intrecciano in uno schema narrativo simile a un puzzle.
Come affermato dallo stesso Berkeley, il mezzo audiovisivo, differentemente da quello del podcast o del libro, ha dato la possibilità di mostrare i filmati delle testimonianze dei bambini, potendo analizzare un elemento sul quale si è discusso molto nel corso degli anni: l’interazione tra i bambini, gli assistenti sociali e le psicologhe. Inoltre, per la prima volta è stato possibile intervistare i membri delle famiglie affidatarie e gli assistenti sociali, in particolar modo la psicologa Valeria Donati, al centro di numerose polemiche.
La struttura della docu-serie è composta da diversi piani narrativi e mescola insieme elementi documentaristici, come le interviste rilasciate dalle personalità coinvolte e i filmati d’archivio, e cinematografici, come la ricostruzione delle testimonianze, insieme alla voce fuori campo. La componente documentaristica è quella che prevale e che risulta essere la più interessante: i filmati delle testimonianze e le interviste rappresentano il vero succo della questione. Oltre a ciò, le interviste rilasciate da entrambe le parti consegnano allo spettatore un quadro più completo dei fatti, anche se tutt’ora oscuro e irrisolto. Contrariamente, le scene riconducibili alla sfera cinematografica hanno lo scopo di aumentare il ritmo e rendere più fruibili le complesse informazioni trattate. A tratti, le scene di finzione si fanno troppo lunghe e distraggono lo spettatore dal nucleo della serie, sfociando nel superfluo.
Gli intenti di Berkeley e Paternò sono ben chiari: la serie non ha uno scopo d’inchiesta o giornalistico, sul quale, invece, si concentrò in maggior misura Pablo Trincia, ma soltanto documentaristico. Vuole trattare ogni elemento e ogni intervistato alla pari, come se fossero delle piastrelle di un castello, lasciando allo spettatore l’opportunità di farsi un’idea. In questo la serie ha fatto centro.
In fin dei conti, Veleno è una docu-serie rispettosa, girata con garbo e con un ritmo efficiente, che ha avuto il coraggio di ritornare su una delicata parentesi della storia italiana, ma sulla quale persistono ancora innumerevoli dubbi.
La capacità di una persona di ascoltare la verità la dice lunga sul suo lavoro su se stessa.