Liberamente ispirato alle novelle dello scrittore irlandese Joseph Sheridan Le Fanu, Vampyr è un film horror realizzato da Carl Theodor Dreyer nel 1931, racconto onirico ed enigmatico delle terrificanti avventure che il giovane David Gray (interpretato da Julian West, il quale svolse anche il ruolo di produttore del film), persosi in un paese misterioso e spettrale, deve affrontare per sconfiggere l’occulto, trionfare sull’invisibile vampiro e incedere infine verso la luce.
All’indomani del capolavoro La Passione di Giovanna d’Arco (1928), prima della svolta stilistica che lo porterà a convincersi il cinema parlato necessiti di una tecnica ben più teatrale (già evidente in Dies Irae del 1943, uno studio sulla stregoneria realizzato in piena occupazione tedesca, che destò forte scalpore venendo interpretato come un’allegoria anti-nazista), Vampyr, prima pellicola sonora del regista, è un film di poche parole, esemplare della passione del primo Dreyer per le immagini statiche e pittoriche, spesso alternate a intensi ed emotivi primi piani dei suoi formidabili attori.
Già la fonte di ispirazione dell’opera, che non è più il romanzo Dracula di Bram Stoker al quale già si erano ispirati registi come Murnau (con le relative conseguenze penali, relative alla pubblicazione di Nosferatu il vampiro) e Ted Browning, ma Carmilla, un noto racconto di vampirismo femminile, ne evidenzia l’originalità: Dreyer è capace di tracciare le proprie convenzioni stilistiche e contenustiche, coerentemente con le sue opere precedenti, pur recependo le influenze dell’espressionismo tedesco (lo stesso Hermann Warm, uno degli scenografi de Il gabinetto del dottor Caligari, cercò di ricostruire per l’occasione un ambiente “realisticamente fantastico”) e dialogando con il nascente sistema dei generi.
La forza incantatrice del film, che trascina lo spettatore in un incubo, nel corso del quale si dissolvono i confini tra la vita e la morte, il sogno e la realtà, è la stessa dei diabolici tablueaux di eccezionale bellezza già presenti nella Passione: immagini opprimenti, intense e glaciali allo stesso tempo; visioni oniriche pregnanti di significato.
Il sonoro, la fotografia morbida e “nebbiosa”, la scenografia e persino gli stessi movimenti degli attori (in particolare quelli del protagonista, che ricordano un sonnambulo o un automa), contribuiscono a definire una realtà inquietante e suggestiva, in grado di “narcotizzare” lo spettatore, calandolo nell’atmosfera da incubo che pervade l’intera opera. Il tocco del regista danese è percepibile ovunque, definendosi con estrema coerenza nel corso di una narrazione che non lascia mai da parte lo sviluppo estetico e complessivo del lavoro. La logica onirica su cui essa si articola procede lentamente, cullando il pubblico attraverso visioni infernali che lasciano intendere ben più di quanto non rivelino esplicitamente. Dreyer tesse una tela magnifica e terrificante, il cui fascino risiede nella capacità stessa di mantenere chi lo guarda, ancora oggi, a 90 anni dall’uscita del film nelle sale tedesche, incollato allo schermo.
Vampyr è un capolavoro e una pietra miliare del cinema fantastico, le cui infrazioni a due regole del genere horror sono alla base dell’incanto demoniaco percepibile nel film: l’ambientazione prevalentemente in luoghi aperti, alla luce diurna, e il netto prevalere del bianco sul nero. Le invenzioni visive, come le ombre che si staccano dai corpi o la soggettiva dall’interno della bara (ripresa da molto cinema contemporaneo e non solo), contribuiscono al definirsi di un’atmosfera surreale, incerta e inquietante: l’immagine non testimonia mai la realtà, facendosi portatrice di infiniti richiami simbolici e caricandosi di inestimabile pathos.
Il film fu dapprima proiettato a Copenaghen, ottenendo un grande successo di critica e di pubblico, e solo in seguito a Berlino, dove venne invece fragorosamente fischiato. A molti quest’elegante e misurata (per quanto non meno inquietante) rappresentazione dell’occulto infastidì: troppo distante dalle idee che si avevano in materia e dai canoni ai quali certo cinema di genere stava abituando il pubblico. Dreyer non si limita, nell’affrontare un tema già ampiamente maneggiato come il vampirismo, ad andare dritto alla meta, sfruttando tutti gli elementi dell’horror e sforzandosi di rilanciarli per far meglio dei suoi predecessori; al contrario, il cineasta danese sembra interessato ad esorcizzare le proprie ossessioni, sfruttando stilizzazione ed economia per parlare, prima di tutto, di se stesso. In ciò risiede forse la capacità di Vampyr di sconvolgere lo spettatore ancora oggi, in un’epoca in cui certo cinema dell’orrore, ben distante dall’eleganza e dal realismo dreyeriano, ci ha abituato ad immagini dal contenuto ben più struggente, ma spesso prive di reale spessore emotivo.
Esistono numerose versioni differenti del film, i cui elementi originali (i negativi della pellicola e del sonoro) sono purtroppo andati perduti. Fino a noi sono giunte solo un certo numero di copie, incomplete e consumate dal tempo e l’usura. Per il restauro, ad opera della Deutsche Kinemathek e della Cineteca di Bologna, ne sono dunque state messe insieme diverse versioni, al fine di raggiungere una qualità e una completezza accettabili. La partitura musicale giunge a noi grazie a una nuova incisione ad opera dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, diretta da Timothy Brock.