Una terapia di gruppo, la recensione: una risata seppellirà i nostri demoni

«Nella nostra società sono rimasti solo due veri tabù. La malattia e la morte.»

Al termine della visione del nuovo film di Paolo Costella e la successiva conferenza stampa con gli attori, il regista ed il produttore, è forse questa considerazione, inizialmente intesa come una battuta, un curioso ice-breaker, ad essere rimasta ancora percepibile a qualche giorno di distanza dall’anteprima. A quelle parole è seguito subito un gran viavai di risatine e sorrisi tra il cast e gli altri giornalisti. Come se tutti in sala avessero capito al volo la battuta, questa universale inside joke che univa tutti i presenti. E anche magari perché in quelle parole, dette con tanta leggerezza, c’è un fondo di verità.

Una terapia di gruppo (trailer) è un film commedia che sembra essere nato proprio da queste nobili premesse. Cercare di trattare un tema scabroso e scomodo, la malattia sia fisica che mentale, con un piglio comico, dissacrante, smaccatamente auto-ironico. Una scelta che può destare senz’altro l’interesse dello spettatore italiano. Dopotutto non ci vogliono molte riflessioni per comprendere quanto si tratti di un tema sentito e attuale. Basta guardarsi intorno. Dalle martellanti notizie di cronaca, ai comportamenti compulsivi sempre più amplificati da internet e i social network, di cui sono “colpevoli” un po’ tutti. La riflessione diventa ancora più triste nel constatare come questo film sia in realtà un doppio adattamento. Da un lato remake di un film spagnolo del 2017, dall’altro rifacimento di una pièce teatrale francese del 2005.

Ma come trattare il tema della malattia? Il film presenta una serie di personaggi archetipicamente italiani e li mette direttamente sotto la lente di un microscopio, cercando di scavare a fondo nella loro vita. Come in un’opera di Pirandello, ci si chiede cosa nascondano sotto la propria apparenza, quale maschera indossino e ruolo interpretino per nascondere, anche a sé stessi, i motivi della propria infelicità. L’intero film è quindi dedicato alla “sbucciatura”, uno strato per volta, di questi individui. In cerca della verità. Delle loro paure, dei disagi. Dei detti, non detti e dell’indicibile. Insomma, di tutto ciò che si nasconde sotto i sorrisi falsi, e quei ‘tutto bene’ che siamo così abituati, fin da bambini, a sfruttare ogni volta che possiamo.

Aldilà di un semplice canovaccio, dal gusto smaccatamente teatrale, la trama è perfettamente lineare e sintetizzabile in questo modo: «Sei pazienti affetti da diversi disturbi ossessivo convulsivi vengono convocati, a loro insaputa, alla stessa ora nell’ufficio di un luminare, tale dottor Stern. Una volta riuniti i pazienti si rendono conto che il dottore non è presente…»Tutto lo spazio possibile è infatti occupato da un cast ricco e variegato, decisamente su di giri e dalla cui energia è difficile non farsi trasportare. A partire dal simpatico e tragicomico Federico (Claudio Bisio), vittima di sindrome di Tourette e dei diti medi che non può fare a meno di sfoggiare; Emilio (Claudio Santamaria), un tassista accumulatore seriale e affetto da aritmomania, incapace di non contare ogni cosa che gli passa sotto gli occhi; Bianca (Valentina Lodovini) una donna che sente il bisogno impellente di igienizzare tutto ciò che deve toccare; Annamaria (Margherita Buy) una giudice apparentemente sana e retta, ma che nasconde una paralisi decisionale da manuale; Liliana (Ludovica Francesconi), una giovane ragazza fissata con le simmetrie al punto di non calpestare mai le linee e ripetere ogni frase due volte; o Otto (Leo Gassmann), ragazzo che incarna ai massimi livelli la FOMO (fear of missing out).

Per quanto sia evidente che alcuni personaggi abbiano ricevuto più lavoro e amore da parte degli sceneggiatori, è altrettanto vero che trovandoci di fronte ad un film corale, il problema non si pone. Gli attori, funzionando come un’amalgama, si danno continuamente il cambio sotto i riflettori, eliminando la possibilità di momenti morti.

A voler essere pignoli, delle crepe e scricchiolii sono riscontrabili nella seconda parte del film, quando tutto il character building e i vari archi del personaggio costruiti nella prima parte devono portare a qualcosa di concreto. C’è un interessante tentativo di elevare Una terapia di gruppo da semplice “film da camera” relegato ad una o due stanze a qualcosa di più audace. Se le premesse erano più da Aspettando Godot, lo svolgimento deraglia il film in lidi più assimilabili ad un Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie, aggiungendo una componente mystery/gialla apprezzabile ma non realizzata al massimo delle possibilità.

Incrociando i vari elementi, non stupisce vedere come Costella, regista del film odierno, fosse anche uno degli autori, tra le altre cose, de Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese. Lo spirito dei film è indubbiamente lo stesso. La stessa voglia di addentrarsi nelle manie degli italiani, dietro le bugie che raccontiamo agli altri e a noi stessi. Oltre che il focus settato su movimenti interni ai personaggi, o alla preferenza per i sottili conflitti interpersonali a scapito di grandi azioni o esplosioni. Si tratta quindi di una strada già battuta nel nostro paese, ma priva di enormi passi falsi.

Anche visivamente Una terapia di gruppo gioca una partita sicura. Come accennato, buona parte della vicenda è ambientata in uno spazio chiuso (l’ufficio del dottor Stern) che viene inquadrato in tutti i suoi angoli diventando a tratti un personaggio a sé. Bianco, stranamente decorato e la cui effettiva forma ci appare familiare ma allo stesso tempo bizzarra. Tale continuità visiva è rotta solamente all’inizio, per presentare i personaggi che arrivano, per l’epilogo, per seguire i finali delle storie, e per quei pochi flashback che svelano, con occhio esterno, quali siano le origini delle OCD dei vari personaggi.

In conclusione Una terapia di gruppo è un film godibile, capace ogni tanto anche di sorprendere. Un feel-good movie che, posto sulla bilancia, lascia il fianco aperto a qualche critica ma anche a tanto da lodare. Una regia semplice e invisibile, personaggi sfaccettati e interessanti che usano il tempo del film per evolvere senza rimanere statici, un cast energico e vitale, oltre che una serie di temi attuali trattati con il sorriso. Se vi fosse capitato di vedere il trailer e vi aspettaste la solita commediuccia come tante, potreste persino uscire dalla sala positivamente colpiti. Di certo ci sono modi peggiori di spendere un’ora e quaranta.

Dal 21 Novembre al cinema.

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