La sensazione di riscoprire i colori, gli odori e i rumori del posto dove si andava in vacanza da bambini. La nostalgia, perfino della banda del paese che suona musiche mai più sentite. Sembra, inizialmente, questa la suggestione di Paolo Virzì in Un altro ferragosto (trailer). Dopo 28 anni il sequel di Ferie d’agosto si apre con un mix di battute iconiche del primo film sullo sfondo di una Ventotene deserta. Un’operazione cult a tutti gli effetti. Invece, è molto di più. Il fil rouge della filmografia di Virzì è l’uso della commedia per riflettere su temi attuali e tracciare un quadro umano esaustivo: come Ovosodo, Il capitale umano o Siccità, anche Un altro ferragosto si inserisce perfettamente in questa linea.
Il regista costruisce un racconto bilanciato tra il richiamo del passato e la fotografia del presente delle famiglie Molino e Mazzalupi. Le due famiglie sono richiamate sull’isola per motivi diversi, che li costringono a trascorrere un’ultima estate insieme. Sandro Molino (Silvio Orlando) è infatti malato e il figlio Altiero (Andrea Carpenzano) riunisce la compagnia dei suoi amici più cari per un simbolico saluto alla vita. Dall’altra parte invece, i Mazzalupi si preparano a festeggiare il sontuoso matrimonio di Sabbry (Anna Ferraioli Ravel), diventata un’influencer di successo. È un dialogo continuo tra il vecchio e il nuovo, dove immagini di Ferie d’agosto si alternano ad incursioni contemporanee, tra password del Wi-Fi e note di Italodisco dei The Kolors. Molti degli interpreti originali, come il già citato Orlando, Sabrina Ferilli e Laura Morante, riprendono i loro ruoli, ma è l’accostamento con nuovi personaggi ed eventi a regalare finalmente alle storie e ai caratteri un giusto spessore psicologico, forse non perfettamente raggiunto nel precedente.
Il film risulta essere un’ode alla fragilità, declinata nelle tematiche che dominano l’attualità. La centralità ossessiva dei social media, che trasformano i sogni di una semplice ragazza romana in un minestrone di recite e finta popolarità, condito da video tutorial e dirette di dubbia utilità. Una relazione omosessuale stigmatizzata tra i cliché dell’italiano medio, incarnati uno dopo l’altro da un irriconoscibile, ma brillante Vinicio Marchioni. La libertà della democrazia schiacciata dalle promesse infrante, dal fascismo mascherato da buonismo e della sinistra che diventa un sogno lontano, in bianco e nero.
Il racconto cerca soprattutto una risposta alla ricerca della verità e del senso all’interno dei rapporti, diventati sempre più privi di consistenza. Tra Sandro e il figlio Altiero, ad esempio, c’è fame di dialogo: i due, però, sono incapaci di esprimere le proprie emozioni. Sono uno lo specchio dell’altro nelle rispettive relazioni, sono impassibili di fronte al continuo elemosinare attenzioni dei partner. La solitudine e la mancanza d’amore vedono l’estremo della climax quando si tratta dell’elaborazione del dolore e della perdita. Omaggiando la prematura scomparsa di Ennio Fantastichini, Piero Natoli e Mario Scarpetta, interpreti centrali di Ferie d’agosto, la storia rende palpabile l’inconsolabile malinconia e nostalgia, che intrappola i personaggi in una dimensione quasi onirica di instabile immobilità.
Virzì traccia il ritratto di un’umanità a pezzi, ingabbiata, che vede la sua completa incarnazione nel monologo finale di Daniela, interpretata da Emanuela Fanelli, misteriosa custode del messaggio del film. Siamo esseri umani pervasi dalla tristezza, da un odio generalizzato che ci consuma e che probabilmente determinerà la nostra sparizione.
Alla fine, però, la desolazione lascia il posto alla speranza. Il regista, allineandosi a gran parte della cinematografia odierna, mostra un’enorme fiducia nel cambiamento. Si vede nelle donne che, per dirla alla Ferilli, «sono malinconiche ma mai vinte», capaci di rialzarsi e di guardare al futuro, portatrici di nuovi valori. E nello sguardo dei bambini che trasformano la memoria dei propri nonni in una carta per navigare verso un orizzonte migliore.
Al cinema dal 7 marzo.