#TusciaFF18: l’incontro con il regista Gianluca Jodice

gianluca jodice tff

<<Prima di un film non si dice nulla, al massimo ‘buona visione’. Parleremo ampiamente dopo>>, debutta così il regista esordiente Gianluca Jodice prima della proiezione della sua opera prima Il cattivo poeta (trailer), che dà il via alla quinta serata del Tuscia Film Fest. Il film, uscito in sala il 20 maggio di quest’anno, narra gli ultimi anni di vita del poeta vate Gabriele D’Annunzio, durante i quali, per ordine del Partito Nazionale Fascista, venne segretamente tenuto sotto sorveglianza dal federale Giovanni Comini per le sue posizioni avverse al fascismo.

È proprio dalla scelta dell’argomento che si è avviato, dopo la visione del film, il Q&A del regista con il pubblico e il direttore artistico del TFF Enrico Magrelli. <<Il produttore Matteo Rovere mi chiese se volessi dirigere un biopic. Andai con la mente a degli studi scolastici e universitari e mi ricordai di D’Annunzio, ormai anziano, chiuso nel suo castello, depresso e in preda a ossessioni, perversioni e droghe. Mi venne in mente questa immagine cinematografica vicina a quella di Nosferatu o Dracula. Dopodiché andai alla ricerca di carte, libri e documenti relativi a questo periodo ed è venuta fuori questa storia vera di politica e di spionaggio>>. La ricerca non si è frenata alla “sola” documentazione e testimonianza dei fatti, ma anche ai dialoghi: quasi tutte le frasi proferite da Sergio Castellitto e Francesco Patanè sono autentiche e documentate.

Il realismo e la tangibilità sono stati fra gli obiettivi principali del film, la ricostruzione storica di ogni singolo elemento è curata al dettaglio. Anche per questo è stato fondamentale per Gianluca Jodice aver avuto il privilegio di girare il film al Vittoriale degli Italiani. <<È stato fondamentale. Quando ho consegnato la sceneggiatura al produttore mi disse ‘bella, ma se non ci danno il Vittoriale il film non esiste’. Era impossibile ricostruire il Vittoriale, sia per una questione di costi che per l’atmosfera, impossibile da replicare>>.

il cattivo poeta castellitto patane

Il Vittoriale è stato definito da D’Annunzio stesso “la sua ultima opera”, ed è per questo che Jodice non avrebbe mai accettato di girare in studio, anche se avesse avuto l’opportunità. La magia di un luogo come quello si percepisce nel cinema, sia da parte dello spettatore che della troupe: a detta del regista, <<così come i colori, le atmosfere e i silenzi, anche il modo di recitare degli attori viene determinata da quel luogo che ha una componente sacrale>>.

Da qui, il discorso si è spostato sul lavoro con i due attori protagonisti del film, in particolar modo con il giovane esordiente Francesco Patanè. <<Avevo paura di imbarcarmi con un protagonista esordiente di 22 anni. Essere dei bravi attori non significa solo saper recitare; significa saper sopportare le responsabilità, la stanchezza. Inoltre, recitare al fianco di Sergio Castellitto poteva metterlo sotto pressione (…) Ma c’è stata una sorta di magia. La storia del giovane federale che deve andare a confrontarsi con un grande poeta, condottiero come D’Annunzio rispecchiava in parte quella dei due attori: il giovane attore che non sa niente del set di fianco al grande attore che ha fatto più di 50 film. Il rapporto tra i due personaggi era il rapporto tra i due attori>>.

Dopo vari interventi sulla tecnica e su alcune scelte stilistiche del regista, il direttore artistico Magrelli torna sul soggetto principale del film e pone a Jodice forse la domanda più intima e sentita: che idea si fosse fatto il regista su D’Annunzio. <<Non nasco d’annunziano. Ma dopo essermi avvicinato a lui, mi sono reso conto di quanto fosse estremamente complesso e difficile da afferrare. È stato allo stesso tempo anti-italiano e arci-italiano. Era allo stesso tempo disciplinatissimo, virtuoso, rigoroso, dal punto di vista personale ed etico, e donnaiolo, pieno di debiti, furbo, voltagabbana, infantile. Era entrambe queste cose. Non puoi non vederci tuoi difetti, aspirazioni alte>>. L’ultimo periodo della vita di D’Annunzio, e quindi anche la sua morte, è stato per Gianluca Jodice l’unico punto fermo dal quale partire per raccontare il film.

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