Serial-killer contro detective: quanti ne abbiamo visti di film così? Moltissimi sicuramente, ma nessuno come Trap (trailer) il nuovo film di M. Night Shyamalan, al cinema in questi giorni.
Un padre e una figlia (Cooper e Riley), legati da un tenero rapporto, assistono insieme a un concerto pop. Ma qualcosa non va: ci sono tantissime unità di polizia che controllano le uscite del palazzetto alla ricerca di un noto serial-killer, Il macellaio. Il macellaio però è proprio Cooper, il concerto è una trappola da cui deve fuggire, e il film una partita a scacchi tra Cooper e la detective esperta a capo delle unità di polizia.
I meccanismi di suspence di questa sceneggiatura (originale di Shyamalan) tendono i nervi degli spettatori, tanto che per la maggior parte della proiezione non risulta assolutamente semplice sedersi sulla poltroncina. Il pubblico è interiormente diviso, com’è divisa la personalità del protagonista tra padre amorevole e serial-killer spietato. In sala non è semplice scegliere chi tifare: la ragione dice per la polizia, ma il cuore è tutto per il padre di Riley, che nessuno vorrebbe vedere ferita.
Con una tecnica raffinata in 18 lungometraggi, Shyamalan porta il pubblico a ragionare su una molteplicità di temi riguardo l’uomo e la società in cui vive. Attraverso Cooper, un serial-killer maniacale sempre allerta per trovare una via di fuga, viene presentato (tra le righe, senza nulla imporre) un mondo complesso dove “bene” e “male” non sono così distinguibili. Cooper ha un disturbo, ma è bravissimo a tenere separate le sue due vite, a tal punto da integrarsi benissimo nella società. Shyamalan continua a demolire la narrazione solita dell’immaginario americano, che racconta il “male” come un elemento esterno, da debellare il prima possibile una volta che contagia la società dei buoni. La realtà non è così e il regista lo sa benissimo: John Wayne Gacy era un padre di famiglia impegnato nel sociale mentre mieteva le sue 33 vittime.
Al di là delle tematiche e della sceneggiatura in cui si possono riscontrare alcune forzature, il film va visto per la sua capacità di racconto attraverso le immagini. Ispirandosi da una vita al maestro Hitchcock per topoi e soluzioni visive e narrative, Shyamalan è ormai maestro nel settore e padroneggia il mezzo perfettamente. A differenza di quanto aveva fatto Brian De Palma con Obsession (ispirato a Vertigo), qui non si insiste sulla nostalgia per il cinema classico tipica della New Hollywood, ma gli stilemi hitchcockiani sono assimilati e reinterpretati per le necessità del cinema contemporaneo. Shyamalan, come il maestro inglese, sintetizza le sequenze attraverso l’uso di inquadrature che sfruttano la profondità e il piano orizzontale per mostrare le situazioni nella loro interezza, alternate a primi piani silenziosi che si affidano alla bravura degli attori per svelare i diversi livelli emotivi.
Gli attori sono tutti convincenti, Josh Hartnett, dopo aver interpretato “Giovanni Muciaccia”(Ernest Lawrence) in Oppenheimer, è un serial-killer perfetto. Ariel Donoghue, di 14 anni, impersona Riley alla perfezione. Le performance di tutti gli attori di contorno dimostrano la bravura del regista nel dirigerli.
I lati negativi del film nel suo complesso sono pochi. L’unica cosa che fa storcere il naso è la scelta di alcuni nomi come “Il macellaio” (ci sono almeno 30 film in cui il serial-killer si chiama “Il macellaio”) e Riley, classico nome di ragazzina innocente per Hollywood. In sostanza un film fresco, leggero, senza pretese di imporre la propria visione del mondo, che non racconta bugie, ma tiene allo stesso modo lo spettatore teso verso lo schermo.
Al cinema.