Il cinema italiano degli anni Settanta ha sicuramente una forte impronta politica. Numerosi autori per numerose finalità hanno affrontato il rapporto tra la comunità e i suoi governanti. Rosi, Pasolini, Ferreri, l’ultimo Rossellini. E poi, Elio Petri. Pochi hanno concepito atti d’accusa tanto forti verso la classe politica come Petri, motivo per il quale questo autore è stato a lungo snobbato. Tanto più se si pensa ad un film come Todo Modo (1976), che annunciava l’imminente caduta della DC per mano del suo stesso presidente Aldo Moro. La profezia si avverò in parte, visto che un colpo di coda della Storia lo eliminò due anni dopo l’uscita del film, impedendo il compromesso storico col PCI e allungando la vita del partito, ma non cambiando il suo destino. Di certo cambiò il destino del film, che con l’omicidio Moro divenne impresentabile politicamente, tanto da far sequestrare il negativo originale (poi trovato bruciato pochi giorni dopo a Cinecittà).
Todo Modo ha il tono della profezia; non solo grazie alla sua trama (la carneficina della Democrazia Cristiana durante lo svolgersi del suo annuale rituale del potere), ma soprattutto per mezzo della determinazione di una dinamica del fare politico che risulta profetica se si guarda agli atteggiamenti ed al modo di impostare il (non) dialogo politico di oggi. Soprattutto il modo di relazionarsi con l’Altro è un sintomo che sembrerebbe essersi conservato indenne, anzi esacerbato, nella politica odierna.
Il rituale del potere narrato in Todo Modo ruota attorno agli esercizi spirituali pensati da Sant’Ignazio da Loyola, fondatore dell’ordine dei gesuiti. Ma il ritiro spirituale nell’albergo-prigione-eremo, che dovrebbe essere l’occasione per rinnovare un partito litigioso e corrotto, di spirituale non ha più nulla. O quasi. Infatti, il presidente M., una palese caricatura di Aldo Moro, mantenendo il suo rigore morale giunge a far sua la massima di Sant’Ignazio: todo modo para buscar la voluntad divina, ovvero ogni mezzo per cercare la volontà divina. Diventa, così, portatore di un compito divino, una figura cristologica la cui croce è il rinnovo del partito, al prezzo della sua stessa vita. È un pastore il cui gregge è malato e senza alcuna possibilità di guarigione, lasciando lo sterminio come unica possibile soluzione.
M. si maschera così da angelo sterminatore. Cosa giustifica questo suo atto? L’alterità, il fatto di sentirsi eticamente superiore a chi gli sta attorno in virtù dello scopo divino di cui si sente portatore, fatto che istantaneamente degrada l’Altro ad un qualcosa di sacrificabile. Il presupposto divino fa scavalcare ad M. le dinamiche democratiche e politiche, sfociando nell’illegalità e nella violenza. Questa è una tendenza presente nella storia italiana, visto che la Repubblica post-Seconda Guerra Mondiale è sempre stata percepita come una democrazia bloccata dalla continuazione, con altri mezzi, della guerra partigiana, la quale è un conflitto particolare: il nemico non è all’esterno, ma all’interno della comunità, che non si pensa più come un tutto unico, ma come una contrapposizione tra fazioni inconciliabili. Il film riflette questo aspetto, visto che il nemico di M. è la sua stessa comunità, la cui corruzione e attività illegali non ne rendono possibile una guarigione. L’Altro diventa un qualcosa da eliminare, non da ascoltare per poterne mediare le necessità ed i desideri, col fine ultimo del risanamento.
Supposta superiorità etica, impossibilità di dialogo, investiture che giustificano ogni tipo di atto. Tutti sintomi che la politica italiana si è portata dietro fino ad oggi, anche in modo palese e non escludendo nessuno. Si pensi alla retorica del Movimento 5 Stelle, che della superiorità etica rispetto agli altri partiti ha fatto il suo cavallo di battaglia; al rifiuto di dialogo, prima nel 2014 e poi nel 2018, tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle; alle dichiarazioni di Matteo Salvini al momento della consegna dell’atto di accusa della Procura di Palermo in merito al caso Diciotti, che dichiara “di essere stato eletto” a differenza del potere giudiziario che tenta di indagare sulla sua condotta, sostituendo l’investitura divina di M. con l’investitura democratica per giustificare un atto forse illegale. Non solo questa problematica relazione con l’Altro è riscontrabile nella contrapposizione tra partiti, ma anche all’interno dei partiti stessi. Il Partito Democratico che, successivamente alle elezioni del 4 Marzo, fa i conti con una palese frammentazione della classe dirigente. Oppure il Movimento 5 Stelle e le frizioni tra i sostenitori dell’accordo di Governo e coloro che sono restii.
Così la relazione tra l’Io e l’Altro rimane esclusiva, conflittuale, impedendo ogni possibile forma di dialogo nel costante tentativo di impostarsi come superiori eticamente rispetto al prossimo. Il lupo (o la politica) perde il pelo, ma non il vizio.
di Riccardo Baiocco