Allucinato come Via da Las Vegas. Impatto alla Trainspotting. Generazionale come Il laureato. In The trainer, presentato in Concorso alla Festa del Cinema di Roma 2024, c’è tutta la follia di un regista unico come Tony Kaye e di un protagonista memorabile.
Il fulcro di The trainer è Jack Flex, il trainer (Vito Schnabel). Kaye e Schnabel hanno pianificato il film sotto la guida di Jack Flex. C’è una collaborazione continua fra attore e regia, fra personaggio e racconto. Schnabel ha scritto la sceneggiatura (insieme a Jeff Solomon), perciò questa complicità è facilitata: il film è un’impronta del protagonista. La sua eccentricità chiama la macchina da presa a seguirlo da vicinissimo, per cui Kaye opta per inquadrature movimentate, molto ravvicinate e modificate di continuo. La voce di Jack commenta e motiva ogni sua azione, ogni sua scelta. Ha un’energia così travolgente che alla fine, nonostante tutto, riesce a conquistare lo spettatore (esausto, ma col sorriso dopo un’ora e mezza con quest’uomo).
La personalità di Jack Flex modifica ogni aspetto della messa in scena (e qui si vede tutta l’esperienza di Kaye nel campo dei videoclip e della pubblicità). Un bombardamento di effetti visivi e sonori, un montaggio fuori controllo, fotografia delirante. In alcune sequenze sembra di guardare uno spot della Nike, in altre una compilation di meme. È tutto destrutturato e deformato, ma allo stesso tempo sembra tutto studiato e calibrato. Si ride quando si deve ridere, ci si commuove quando ci si deve commuovere. Anche i titoli di coda sono esaltanti. The trainer è cinema (e non solo) dall’inizio alla fine.
Per tutto il film, Jack Flex è ossessionato dalla sua invenzione: l’heavy hat, un cappello pesante 10 kg, pensato per favorire il benessere molecolare e neurale dei muscoli. Una cosa che dovrebbe essere uno strumento per il fitness, ma che potrebbe essere venduto come un capo di alta moda, nonostante sembri più un accessorio da sala giochi (o la macchina telepatica del Doc Brown di Ritorno al futuro). Un oggetto assurdo, insensato, illogico, in cui Jack crede a occhi chiusi. Quando ottiene la possibilità di venderlo in un enorme programma di televendite (grazie a una serie patetica di bugie), il suo sogno inizia ad avverarsi. Deve arrivare pronto alla diretta televisiva, la sua grande occasione. In questo, The trainer sembra il cugino indie di Joker (curiosa la somiglianza fra i cognomi dei protagonisti, Fleck e Flex).
Sorvolando sulla satira che colpisce televendita, fuffa guru, culto delle celebrità (e la furbizia di chi ci casca), il tema di The trainer è proprio dentro l’heavy hat. Questo cappello dovrebbe migliorare corpo e mente chi lo indossa sottoponendolo/la a un peso sulle spalle. L’invenzione di Jack rappresenta il suo sogno, la sua occasione, il suo American Dream. Kaye esalta l’oggetto riempiendolo di effetti, luci stroboscopiche, lampi e aureole. Ce lo fa vedere attraverso gli occhi di Jack, convinto che possa migliorare la propria vita e quella degli altri. L’heavy hat ci ricorda che bisogna caricarsi sulle spalle il peso della propria realizzazione: se vuoi essere felice, mettiti questo cappello di 10 kg e fai quello che è necessario.
Il cappello non crea interesse fino a che, nel finale, riscuote un grande successo fra quelli della generazione di Jack (e poi gli altri, a catena). Sono i giovani ad accettare di caricarsi un peso sulle spalle; lo vogliono; ne sentono il bisogno. L’heavy hat è il simbolo di una responsabilità, una mancanza nella gente come Jack. The trainer può dirsi un film generazionale perché racconta il bisogno delle persone in cerca non solo di un’identità e di uno scopo (come i protagonisti di Fight club), ma di una responsabilità, di una presa in carico della propria felicità. Questo cappello conquista la gioventù, che vuole essere protagonista nella propria vita e sente il bisogno di una responsabilità nel determinarsi.
Il duo creativo Kaye-Schnabel crea una commedia energica e irruente come il suo protagonista Jack Flex. Con uno stile senza limiti, The trainer ha troppe cose da dire. Una piccola grande gemma che non può (e non deve) passare inosservata.