Radicatosi oramai nell’immaginario collettivo come epica supereroistica alternativa del nuovo millennio, il DC Extended Universe (DCEU) ha da sempre conteso col collega e fratellastro Marvel Cinematic Universe (MCU) l’ambizione di fondare una nuova e fantasmagorica mitologia supereroistica.
Tuttavia, se (fino ad adesso) il mastodontico progetto MCU ha ripercorso la genesi eroica dei suoi mirabili protagonisti umani in un elegiaco percorso di redenzione,m morte e rinascita, il DCEU ha maggiormente esplorato le caratteristiche incredibilmente umane di quei protagonisti divini nascosti, almeno inizialmente, all’occhio terrestre – L’uomo d’acciaio (2013) di Zack Snyder, Wonder Woman (2017) di Patty Jenkins, Aquaman (2018) di James Wan, Shazam! (2019) di David F. Sandberg, Wonder Woman 1984 (2020) di Patty Jenkins. Eppure, aggiornando questa formula divina magica e mitica con l’ingresso di eroi che sono nati umani e sono volti ad un sofferto riscatto social-individuale, il DCEU si è configurato anche come mirabolante deposito d’incontro/scontro tra il distruttibile e sanguinante god e l’integro e incorruttibile human – Batman v Superman (2016) di Zack Snyder, Justice League (2017) di Joss Whedon e Zack Snyder’s Justice League (2021).
Ad insaporire ulteriormente il golosissimo banchetto targato DC si aggiungeranno inoltre le portate della Suicide Squad (2016) di David Ayer, di Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn (2020) di Cathy Yan e di The Suicide Squad – Missione suicida (2021, trailer) di James Gunn; schierandosi dalla parte dei supercriminali sconfitti e non degli eroi, questi offriranno uno spettacolo di rivalsa volto ad allargare l’élite eroica e mitologica a coloro che sono stati vinti a tutti gli effetti anche dalla vita. In particolare, lo scoppiettante The Suicide Squad di James Gunn rinvigorirà in maniera pulp-rock-pop il tema dell’epica barbara dei subalterni precedentemente affrontato dal melenso Suicide Squad di Ayer, secondo un percorso di prima e dopo già verificatosi con i due film sulla Justice League – l’asprissima diatriba Snyder/Whedon è stata catalizzatrice di questo cambio di paradigma.
Probabilmente è proprio grazie al saldo obiettivo di fortificare e rinvigorire quel tragitto già intrapreso a distanza di poco tempo che i film di Gunn e Snyder risulteranno delle operazioni “a sé stanti” da non etichettare come reboot o remake (per il momento), ma da fruire come potenziali tasselli di un puzzle più vasto, variegato e in continuo mutamento. Qualunque sia il nome con cui è possibile chiamare tale operazione, The Suicide Squad di James Gunn è un toccasana di primissima categoria che unisce una violentissima cascata di fuochi d’artificio alla stravittoriosa politica di rivalsa dei dimenticati – tra l’altro, osservando il tutto in senso meta, potremmo dire che The Suicide Squad e Zack Snyder’s Justice League sono a tutti gli effetti la rivalsa di quel tanto considerato caduto DC Extended Universe.
A differenza del frenetico opening del “parco a tema” firmato Ayer, in cui il montaggio indugia tambureggiante sulla presentazione di luogo personaggi e azione, il lungo prologo della war zone targata Gunn è incredibilmente prima una freschissima rugiada che scende morbida e carezzevole sul deserto tormentoso del penitenziario di Belle Reve, poi un devastante e sanguinolento sbarco alla D-Day suicida sull’isola di Corto Maltese (ricorda Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg, 1998) e infine una sorta di provocatorio where we were che presenterà il nuovo leader della squadra – Bloodsport, interpretato da Idris Elba – e ci reintrodurrà la spietata Amanda Waller – nuovamente interpretata da Viola Davis.
Dunque, partendo dal dolce canarino delle prime inquadrature e arrivando ai secchi puzzolenti della prigione, il regista colorerà un prologo superbo che ci costringerà per ora a “prendere posizione” (quasi fosse un gioco di ruolo) col detenuto Savant (Michael Rooker); quest’ultimo sarà nostro canale d’accesso alla comprensione dell’atmosfera che circonda tutto il film ma, soprattutto, egli simboleggerà lo sguardo inorridito e spaventato di uno spettatore che non sa ancora di per certo cosa gli si sta presentando davanti. Una cosa però è certa: questa non è la Suicide Squad servitrice del 2016, quanto una rock band cool e ribelle composta da una gran bella quantità di bad motherfuckers.
Dopo questa introduzione da girone dantesco The Suicide Squad trasporterà i suoi dannati in un’odissea di amore, guerra e ricordi – compito del team capitanato da Bloodsport è distruggere ogni traccia del progetto Starfish sull’ex isola nazista di Corto Maltese – divenendo così la sudicia ballata di alcuni pazzi scatenati, legati da un comune spirito di rivalsa in un mondo disonesto e sorvegliati dall’occhio invisibile e malefico della Waller. Non a caso, il cuore pulsante di questa rivisitazione supereroistica di Quella sporca dozzina (Robert Aldrich, 1967) risiede nel disegno dei suoi personaggi e nella maestria con cui questi sono presentati e inseriti in situazioni che spessissimo si sciolgono nella più dissacrante e grottesca delle realizzazioni. Proprio come I guardiani della galassia – Volume 1 e 2 (2014 e 2017) sempre diretti da Gunn, anche The Suicide Squad è caleidoscopio di personaggi che funzionano come le figure incrociate e solo in apparenza incoerenti del Guernica. Le drammaturgie dei personaggi di Gunn si intrecceranno, quindi, al fine di costruire un Picasso in cui ogni geometria, colore, spazio, vuoto e corpo collaborano.
Nessun personaggio del film di James Gunn, e più in generale della sua filmografia, esiste senza le vivide e palpabili qualità dei compagni di viaggio scelti che ne riempiranno i vuoti. Questa coralità “cattivissima” appartenente alla nuovissima “Guernica Squad” sarà di conseguenza l’autentica protagonista dell’opera pulp, sarcastica e provocatoria di Gunn che mai sacrificherà le potenziali macchiette (ad esempio King Shark, doppiato da Sylvester Stallone) col fine di offrire un breve spettacolo comico, fermando così la narrazione. Anzi, probabilmente, ogni membro della squadra rivelerà ad un certo punto del film il proprio lato più macchiettistico – vi è una scena in cui una seducente e pericolosissima Harley Queen (Margot Robbie) indossa un lungo vestito rosso sangue e si atteggia a principessa di favole da incubo.
In definitiva, The Suicide Squad (2021) – Missione suicida di James Gunn è un concerto rock dal sapore brillante e citazionistico che richiama gli spettatori alla meravigliosa visione nella sala buia e osa parlare eccellentemente del rabbioso e coatto riscatto dei subalterni dimenticati.