Il nuovo papa, non più il giovane. Qualcosa di diverso, da non considerarsi come un seguito, seppur narrativamente lo sia. Il titolo appare contraddittorio come la figura di Lenny Belardo (Jude Law), in coma e reduce da diversi trapianti di cuore falliti, personaggio che si dichiara “contraddizione” sin da subito in The Young Pope e che scopriamo, pian piano, fino al cortocircuito veneziano nel finale, misterioso, del primo capitolo. Dalla scoperta del Papa giovane all’attesa della venuta del nuovo o del risveglio del vecchio. Un senso di attesa che cresce sempre di più in The New Pope (trailer) e che genera una tensione tale da magnetizzare lo schermo e da tenere alta l’attenzione fino al suo scioglimento.
La squadra creativa dietro le quinte di questo seguito apocrifo è pressoché la stessa. Il montaggio all’occorrenza dolce e armonico o secco e violento di Trovaglioli e la fotografia di Bigazzi, che tocca apici di caravaggesca bellezza passando da neon che ricordano il cinema di Refn, sono le conferme che armonizzano e rendono contigue le due opere. Lo stacco che maggiormente si sente è nella narrazione, curata da tre dei cinque sceneggiatori di The Young Pope, ovvero Stefano Bises, Umberto Contarello ed il regista e creatore Paolo Sorrentino. Tutte e nove le puntate sono scritte a sei mani e questo giova alla creazione di un meccanismo di suspence perfetto e dal passo che sembra costante e contemplativo, ma che non lesina in sorprese ed accelerazioni.
L’attesa, la tensione e l’ansia nei confronti del destino di Lenny Belardo primeggiano, con una costruzione narrativa che sembra emanare proprio dal suo personaggio, in bilico tra la vita e la morte. Le macchinazioni di Voiello (Silvio Orlando), le turbe di Sir John Brannox, futuro Giovanni Paolo III ed affidate ad un Malkovich sornione, i complotti del diplomatico Bauer (splendido alter ego politico di Voiello, ma molto meno rassicurante e bonario, interpretato da Mark Ivanir) sembrano sempre come rivolte verso, collegate con il dormiente Pio XIII. Tanto che, a metà stagione, sembrano tutti costretti a fermarsi, trasformandosi in tableau-vivants pensierosi, quando parte un conto alla rovescia fatto di sospiri e gesti del Papa malato. C’è una logica imperscrutabile dietro quei gesti e quei sospiri? Cosa accadrà quando arriveranno al culmine? Si quieterà, morto, o si risveglierà? Non sono le uniche domande che la serie pone, ma forse sono le poche alle quali risponde.
L’andamento narrativo, che sembra strizzare l’occhio a Twin Peaks – Il ritorno di Lynch (ma le similitudini sono molte anche nelle tematiche), non si risolve in una risposta chiara. Il finale della serie scioglie la tensione accumulata in un’accettazione di un punto cieco, di un portone che si chiude e separa allegoricamente i fedeli dall’interno di San Pietro, dove un corpo deposto giace ai piedi della Pietà di Michelangelo, in tutta la sua misteriosa plasticità. Si chiude così, presumibilmente, l’avventura teleologico-televisiva di Sorrentino, con una dolce accettazione del mistero, ben diverso dall’ignoranza, che sorregge la religione Cristiana e forse anche l’arte stessa.