
Chi non ama le storie di successo? Da Rocky a La La Land alle biopic delle grandi star, amiamo tifare per il protagonista che sacrifica tutto per rincorrere un sogno, e amiamo ancora di più esultare quando finalmente lo conquista. Amiamo uscire dalla sala con il cuore scaldato dalla speranza di poter anche noi, un giorno, provare quella soddisfazione. Hollywood da quasi un secolo ha reso di questo amore la sua forza. Ma The Last Showgirl (trailer), ultima opera di Gia Coppola, è il rovescio della medaglia: cosa succede, trent’anni dopo, a chi non vuole farsi strappare il proprio sogno dallo scorrere del tempo?
Il film racconta le ultime due settimane di Le Razzle Dazzle, spettacolo di burlesque di ispirazione francese che dopo aver intrattenuto il pubblico della Strip di Las Vegas per oltre tre decenni, si arrende allo scarso interesse dell’audience contemporanea e chiude i battenti. Shelley Gardner (Pamela Anderson), che è parte dello show dal suo inizio e che per esibirsi ha sacrificato tutto, persino il rapporto con la figlia Hannah (Billie Lourd), non riesce proprio ad accettarlo. La sua storia si intreccia con quella dell’amica Annette (Jamie Lee Curtis), ex Razzle Dazzle, ora cameriera in uno squallido bar, e quella delle giovani colleghe Mary-Anne (Brenda Song), disincantata e aspramente critica del business, e Jodie (Kiernan Shipka), più immatura, che in Shelley vede, forse ingiustificatamente, una figura materna.
Shelley sembra lontana dall’essere un’eroina ideale, nella quale il pubblico generale può identificarsi. Sembrerebbe anche un po’ difficile entrare in empatia con lei: è maldestra, ingenua, un po’ egoista, sicuramente non una brava madre, e la sua passione non è convenzionale. Eppure non provare per lei un’infinita pietà, non arrabbiarsi insieme a lei, non unirsi al suo pianto disperato e alle sue urla di frustrazione, è una vera sfida. Perché il grande merito di The Last Showgirl è quello di non voler giudicare la sua protagonista, non voler proporre una morale, nemmeno fare una riflessione su un fenomeno sociale (sarebbe stato molto facile) e tantomeno scandalizzare (ancora più facile). The Last Showgirl intende solo raccontare una storia, la storia di una donna la cui identità è stata consumata da un sogno che l’ha completamente assorbita.

Shelley è fermamente convinta che Le Razzle Dazzle sia stata un’espressione artistica di qualità eccezionale (cosa che chiunque intorno a lei esita a credere), ama profondamente il suo palcoscenico e vuole rimanerci aggrappata nonostante sia effettivamente impossibile. Nessuno degli altri spettacoli della Strip vuole assumere una performer 57enne, che per altro disprezza la volgarità cheap e oggettificante che gli show moderni vorrebbero portare in scena e si rifiuta di conformarvisi, proponendo invece coreografie ispirate al balletto classico. E qui è impossibile non vedere nell’imperfetta Shelley una persona che, se probabilmente non siamo, vorremmo abbandonare le nostre quotidiane responsabilità per essere libere di essere, come ha fatto lei con sua figlia: chi può dire di non aver mai provato un desiderio così intenso?
Altro grande merito di The Last Showgirl è la fotografia, che dispiace non aver visto riconosciuta nell’award season passata (Anderson è però stata candidata ai Golden Globes e agli Screen Actors Guild Awards, insieme a Curtis, per la sua performance). Le riprese sgranate e spesso fuori fuoco, quasi ricordi o allucinazioni, sono visivamente magnetiche e chiaramente debitrici al cinema indie americano del decennio scorso (vi si può forse leggere anche qualche eredità di zia Sofia Coppola). L’attenzione al dettaglio è affascinante: i bigodini, le forcine, i glitter e i trucchi abbandonati sui tavolini del backstage sono spesso protagonisti dell’inquadratura, così come le mani di Shelley, soprattutto mentre danza.
Terza, e probabilmente migliore, opera di Coppola dopo Palo Alto e Mainstream, The Last Showgirl è un grande regalo per chi non si vuole arrendere a questo momento storico, in cui sembra non si possa fare altro che rassegnarsi alla disillusione: una punta di ottimismo in mezzo alla desolazione, Elpìs sul fondo del vaso di Pandora. Una visione imperdibile per chi ancora vorrebbe credere nei sogni.
Al cinema.