Non sono passati tre mesi dal rincaro dei prezzi e Netflix già sta pensando di spingere ancora più in alto le cifre del tariffario. È toccato al Nord America e a breve toccherà di nuovo anche agli italiani. Si tratta di un investimento sulla qualità, dicono, e gli darei anche fiducia, ma poi mi accorgo di tutto il capitale scialacquato negli ultimi blockbuster e considero seriamente la possibilità di revocare la mia sottoscrizione. Cari dirigenti Netflix, o prendete i miei soldi e ci date dentro con la qualità, oppure prendete poco e acchiappate più abbonati coi vostri filmoni senz’anima… Ebbene, il 14 gennaio è uscito The House (trailer) e io, dopo averlo visto, mi sono detto che forse il mio giudizio era stato troppo severo.
In effetti quasi sempre l’impegno artistico va scovato là dove la pubblicità e i grandi nomi fanno poco chiasso. E tale è la sorte di questo film d’animazione a passo uno, che di nomi insigni non è certo privo, a partire dall’autore, Enda Walsh, drammaturgo irlandese pluripremiato, scrittore dal vivace e poetico estro inventivo, che ci regala qui un inquietante trittico fiabesco, appassionato e dalle innumerevoli valenze interpretative: tre coinvolgenti storie sorte in epoche diverse che si dipanano attorno a una casa, mettendo in luce le aspirazioni, i conflitti sommersi e le debolezze umane.
Tre fiabe moderne che pullulano d’arcane suggestioni simboliche: nella prima, grottesca, una bambina assiste impotente allo sfacelo della famiglia e della propria casa; nella seconda, allucinata, troviamo topi antropomorfi e un protagonista troppo ambizioso; più serena, con un maggiore tocco di luce, la terza, dove una gatta (sempre umanoide) coltiva il progetto di rimettere a nuovo la propria dimora, a dispetto d’ogni avversità. Sogni calpestati, fobie esasperate, affetti delusi, quanto c’è di più autenticamente umano in ognuno di noi, Walsh ha saputo afferrarlo e dargli una voce. A conferirgli un corpo è stata poi la vividezza plastica dello stop-motion, che rimodellando a piacimento la materia reale si presta ottimamente a dar vita alle creazioni surreali dell’immaginario da favola del testo.
I pittoreschi simulacri animati paiono quasi danzare al canto ora dolce ora stridente degli archi di Gustavo Santaolalla – altro nome degno di nota, detentore di due Oscar alla colonna sonora e compositore storico di A. G. Iñárritu –, e tra accenni melodici e pizzicati siamo condotti al di là dell’esperienza vigile, alle soglie d’un mondo ch’è quello del sogno. L’intero film, invero, ricorda l’eco lontana di uno strano sogno. E alla fine ci si chiede che cosa mai volesse dire.
Al doppiaggio originale figura poi qualche voce non del tutto anonima, tipo Helena Bonham Carter e il rapper britannico Dizzee Rascal. I laboratori di Nexus Studios con il contributo produttivo della Netflix Animation danno prova d’essere senza dubbio una garanzia in termini di qualità grafica e d’eleganza.
Netflix lascia sempre ampia libertà artistica ai progetti che seleziona, perché alla qualità standardizzata garantita dal controllo del processo produttivo ritiene più vantaggioso sostituire la quantità dei prodotti rilasciati. Questo cosa implica? Che in un catalogo ogni giorno più ricco (e dispersivo) troveremo titoli di scarso o infimo valore, e poi titoli come questo, in grado di smorzare l’impulso a disdire l’abbonamento alla piattaforma dalla enne rossa, quest’enorme albero ipertrofico e carico di frutti, alcuni turgidi ma bacati, altri insipidi, altri lievemente acerbi, altri ancora – per chi è paziente e sa cercare tra i rami – inaspettatamente squisiti.