The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun (trailer) è il titolo completo del 10° lungometraggio del regista americano Wes Anderson, con un cast che definire sconfinato equivarrebbe a sminuirlo: Benicio del Toro, Frances McDormand, Jeffrey Wright, Adrien Brody, Tilda Swinton, Timothée Chalamet, Léa Seydoux, Owen Wilson, Mathieu Amalric, Lyna Khoudri, Stephen Park, Bill Murray, Liev Schreiber, Elisabeth Moss, Edward Norton, Willem Dafoe, Christoph Waltz e molti altri. Il film, dopo i rimandi causati dalla pandemia, è stato presentato quest’ estate alla 74ª edizione del Festival di Cannes e approderà nei cinema italiani a partire dall’11 Novembre.
“Una lettera d’amore nei confronti dei giornalisti”, così lo definisce lo stesso Anderson, oltre che un dichiarato omaggio al celebre settimanale statunitense del New Yorker. Dopo la morte del direttore (interpretato da Bill Murray) riviviamo le migliori storie del fittizio The French Dispatch, edizione europea dell’ Evening Sun di Liberty, che funge da cornice ad una narrazione episodica: la storia di un ergastolano pittore omicida, un reportage di una rivolta studentesca finita in tragedia e il rapimento del figlio di un commissario.
È buffo osservare come questo film sia il trionfo dello stile e dell’estetica di Anderson, ma che ciò sia allo stesso tempo il suo miglior pregio e il suo peggior difetto. L’indiscutibile talento del regista porta in scena una regia piena di spunti interessanti, inquadrature bellissime, fantastici inserti animati, alternanza di formati, colori e tanto altro, ma che sembrano dimenticarsi della narrazione e del film in sé. La struttura a episodi unita ad una quantità di personaggi infinita e ad un ritmo indemoniato a tal punto da diventare quasi soffocante, spingendo il film verso i limiti della soglia di attenzione. Inquadrature, nomi, eventi, personaggi, attori, passano tutti sullo schermo ad una tale velocità pari solo a quella con cui li dimentichi.
Non che questo effetto non sia voluto, è probabilmente nelle volontà dell’autore quella di rendere la sensazione di frenesia e follia della vita del giornalista, che con il suo talento deve riuscire a riordinare il tutto. Ciò viene senza dubbio restituito, ma non così piacevolmente o brillantemente come avremmo sperato, rendendo quasi necessaria (ma forse non così desiderata) una seconda visione. C’è da dire che molti potrebbero considerarlo il suo punto di forza ed è tutto qui che si gioca il dibattito che si è venuto ad accendere attorno al film.
Questa frenesia quasi vignettistica poi non è affatto una novità nel cinema di Anderson, ma se in altri film, come l’ormai noto a tutti Grand Budapest Hotel, questo ritmo inarrestabile è a servizio di una sola storia, la scelta di frammentare così tanto il racconto non è risultata particolarmente vincente. Così come non è una novità il riservare piccoli ruoli, se non camei, a grandissimi volti del cinema, ma anche qui la frammentazione a episodi (che moltiplica i personaggi presenti), unita alla fugacità con cui sono messi in scena, li rendono raramente memorabili (eccezione fatta per il pittore di Benicio del Toro).
In conclusione, nulla di così tragico, le storie sono comunque abbastanza divertenti e il film non è da buttare, anche se facilmente collocabile tra i lavori meno incisivi del regista. Senza dubbio sarà pane per i denti di chi osanna Wes Anderson e non può resistere al suo iconico stile, così come regalerà soddisfazioni a chi ha sempre sostenuto che i film del regista texano sono un puro esercizio di stile, nonché una sola e continua ricerca estetica.