Una piccola cittadina fatta di case di legno, polvere rossa e pettegolezzi intrisi di segrete perversioni: Dungatar, Outback australiano, nel 1951. Myrtle “Tilly” Dunnage (Kate Winslet) vi fa ritorno dopo essere stata messa al bando da bambina: «Sono tornata, bastardi!»
Tiene stretta in un pugno la sua Singer e il desiderio di rivalsa. Lei non ricorda perché fu cacciata, e la madre, Molly la pazza (una formidabile Judy Davis), ha perso la ragione per il dolore. I concittadini si tengono lontani e il mistero è posto come in un thriller noir. In realtà è di una commedia che stiamo parlando, seppure dalle tinte nere e toni grotteschi. Il lavoro di Jocelyn Moorhouse è un mashup di variazioni sul tema della vendetta. Non è il vecchio west selvaggio e polveroso, anche se la regista stessa lo ha definito «Unforgiven con la macchina da cucire», The Dressmaker manda cartoline anche da altri inferni e generi. La sarta è lì per sapere cosa le è accaduto durante l’infanzia e non esita a mettere in subbuglio il villaggio.
Per due volte si avvicina ai bordi del campo da rugby dove è in corso una partita travolgendo tutti di un fascino di intenso e fulmineo. Nel suo lungo peregrinare ha visto sorgere il dio della moda, Christian Dior, ed è divenuta una sarta di abiti elegantissimi. Giunta nel desolato paese australiano si fa arrivare casse piene di oggetti di lusso, barattoli di marijuana e stoffe pregiate che mandano in visibilio il sergente Horatio Farrat (Hugo Weaving), sergente di polizia e feticista cross-dresser. Comincia a vestire le povere donne arcigne, celando il loro mal bisbetico di vivere sotto sensuali abiti all’europea. Non sarà facile riscattarsi per la bambina vittima della malvagità degli uomini, ma Tilly ha ora l’ardente pazienza per servire la vendetta su un tappeto di velluto rosso. La sua rabbia monta nel retroscena dell’atelier ricavato nella vecchia casa sulla collina, dove si ricongiunge alla madre, cede al fascino hunky di Teddy (Liam Hemsworth), recupera frammenti di memoria in flashback, e prepara dolci alla marijuana da distribuire in giro, come quello che Molly confeziona per la signora Almanac, innescando la vendetta più divertente del film contro il farmacista gobbo Percival. Un film caricato a molla di colpi di scena che scattano un po’ artificiosamente per strappare risate, alcuni godibili, altri un po’ meno. A rendere il film piacevole è soprattutto lei, Kate Winslet, in splendida forma. Un Oscar vinto per l’interpretazione in The Reader nel 2009 e 7 nomination ricevute, un Emmy, quattro Golden Globe e tre BAFTA. L’ultimo dei quali, per Steve Jobs, lo ha dedicato alle ragazze che dubitano di se stesse, ricordando che un insegnante le aveva detto di accontentarsi della parti di fat girl. Apprezzata dalla critica e dal pubblico, la Winslet in The Dressmaker si conferma attrice di grande levatura. La bellezza classica dalle forme morbide e così poco mainstream è esaltata dai magnifici abiti disegnati da Margot Wilson. La stilista si è occupata solo dei costumi della poliedrica interprete, mentre gli altri sono opera della costumista Marion Boyce. Sono anche i meravigliosi capi ispirati alla haute couture francese degli anni 50 a rendere bizzarro e surreale il film. Avevamo appena ammirato la Winslet nei panni di Joanna, l’assistente che si sforza di portare Steve Jobs (Michael Fassbender) ad un livello umano, nel biopic di Danny Boyle, e già siamo riconquistati dalla fascinosa quarantenne. Nella sua carriera ha lavorato per registi come Ang Lee, Kenneth Branagh, Steven Soderbergh, Roman Polanski e molti altri.
Una di quelle rare attrici belle e brave. Geniale e versatile interprete di ruoli molteplici, ha sempre affascinato un vasto pubblico. Come Susan Sarandon, Meryl Streep o Julianne Moore. Le donne che la vedono non hanno la mente obnubilata dall’invidia, al contrario, la apprezzano per la capacità di rendere sentimenti provati al femminile e riproposti sullo schermo con una disarmante autenticità. Da quando, poco più che adolescente, interpretò Juliet Hulme in Creature del cielo, di Peter Jackson, e subito dopo Marianne Dashwood in Ragione e sentimento, di Ang Lee, e raggiunse il successo planetario con Titanic, ha sempre saputo dare parabole filanti alla perfezione alle sue eroine. Fino alla miniserie Mildred Pierce, di Todd Haynes, in cui incarna il New Deal al femminile, ingegno e duro lavoro, delusioni e spirito combattivo. Personaggi romantici, delusi dalla vita e dagli altri ma sempre pronti a reinventarsi con coraggio. Un’attrice lontana dal gossip, animalista e vegetariana. Madre, sposata e divorziata. Una donna che polemizza sui ritocchi al photoshop nelle pagine delle riviste, anche quando riguardano lei stessa.
Roberta Fiaschetti