Nel 2002 Andrew Law ed Alan Mak realizzarono il poliziesco Infernal Affairs che lasciò un segno indelebile nel genere influenzando tanto registi orientali quanto occidentali: la sceneggiatura del film di Hong Kong sarebbe poi diventata la base del lungometraggio di Martin Scorsese The Departed.
In una Hong Kong post-coloniale il poliziotto Chan Wing-yan (Tony Leung Chiu‑Wai), infiltrato nella triade, cerca di incastrare lo scaltro e spietato boss Hon Sam (Eric Tsang). Solo il sovrintendente Wong (Anthony Wong Chau‑sang) conosce la sua reale identità e comunica con Chan attraverso un cellulare da cui si trasmettono informazioni usando l’alfabeto morse. Nello stesso momento il mafioso Lau Kin-ming (Andy Lau) vive da infiltrato nelle forze di polizia di Hong Kong ed è a conti fatti gli occhi e le orecchie del boss Hon Sam. L’intero poliziesco è un continuo gioco di specchi fra i quattro personaggi che rappresentano il bene ed il male, la luce e l’ombra e vivono in bilico perenne fra questi estremi. Il film venne costruito basandosi su alcuni elementi della spiritualità buddista e sulla raffigurazione mitologica dell’inferno perenne, la struttura assumeva chiaramente l’eredità dei polizieschi di Hong Kong che lo avevano preceduto, più di tutti quelli di John Woo e Ringo Lam (dal cui City on Fire Tarantino trasse Le iene) e dal loro principale ispiratore occidentale: il regista francese Jean Pierre Melville.
Il film Infernal Affairs ebbe un tale successo nel 2002 da portare a ben due seguiti: il primo sviluppatio come prequel del film originale e dedicato alla giovinezza dei quattro protagonisti ed il secondo concepito come seguito del primo capitolo ed incentrato sulle conseguenze del famosissimo finale con l’introduzione di nuovi personaggi e l’implementazione di alcuni personaggi minori che assumono una funzione più centrale.
Quattro anni dopo, William Monahan, che aveva esordito come sceneggiatore poco prima con il film Le crociate – Kingdom of Heaven di Ridley Scott, riceve l’incarico di adattare la sceneggiatura originale del film di Hong Kong per Martin Scorsese. Nel film The Departed svaniscono tutti i riferimenti alle commistioni pre-coloniali fra triade e polizia corrotta di Hong Kong, scompaiono i riferimenti alle ambigue zone d’ombra che coinvolgono il crimine con la nuova amministrazione cinese e la struttura del racconto si snellisce a favore dell’occidentalizzazione dei personaggi. La triade diventa una banda irlandese di South Boston e la polizia perde le sue caratteristiche burocratiche, forte comparto critico del sistema amministrativo cinese, a favore di una rappresentazione più vicina alle soluzioni di William Friedkin per The French Connection.
Il monologo di Jack Nicholson apre il racconto trasportandoci anni luce dall’ambiente del film originale, americanizzando la formula, abbandonando i riferimenti al cinema francese ed evidenziando l’affiliazione con la New Hollywood. Scorsese ci rimanda ai suoi giganti sulla subcultura gangster come The Goodfellas e Casinò. Eppure Scorsese non dimentica il lavoro originale: molte inquadrature sono la sua rielaborazione delle originali ed i soli cambiamenti rilevanti sono connessi alla cifra stilistica del regista italo-americano pertanto incontestabili e magnetiche. La collaborazione fra Scorsese e gli autori del progetto originale si sarebbe evoluta alcuni anni dopo con il progetto Revenge of the Green Dragons dedicato alla storia della malavita cinese di New York negli anni ’80.
La versione di Scorsese punta molto di più sui dialoghi, creando una vera mitolgia di modi di dire, di nomi, aneddoti e atteggiamenti che costruiscono i personaggi attribuendo loro una definizione culturale molto netta ed una personalità dai tratti etnici e di costume che il film originale non tratta mai. Se a quest’ultimo possiamo riconoscere un dinamismo che Scorsese decide di sacrificare, al film americano va il primato della scrittura con dialoghi più articolati e complessi che aprono ad una caratterizzazione più sfaccettata dei personaggi. La versione di Hong Kong sceglie di mostrare più che di far ascoltare ed il modo con cui la camera si muove nella caoticità di Hong Kong rende il film unico e prezioso. Dal canto suo l’adattamento di Scorsese è più rituale, onora la costruzione scenica ed al realismo degli ambienti preferisce una composizione classica americana dello spazio visivo che ci obbliga a riguardare verso il western e la wilderness da cui proviene il dna dell’autore occidentale.