The Batman (trailer) è solo uno dei tanti nomi che il film di Matt Reeves può ritrovarsi affibbiato. The Gotham Chronicles potrebbe essere un altro e forse addirittura più centrato, figlio di un oscuro scrutare all’interno del quale ci cala sin dal primo istante una soggettiva che spia affari e affaracci all’interno di una finestra. Soggettive e semisoggettive di cui il film è pieno, potenziate da binocoli e tecnologiche lenti oculari che costringono noi, e chi li utilizza, a osservare la violenza e il marcio di una città invasa dagli schermi e perennemente sotto la morsa della pioggia.
Sembra quasi la Los Angeles di Blade Runner, ma della quale non si riesce mai a guardare un po’ più in là. L’orizzonte è sempre sfumato, avvolto dalla tenebra, nemmeno per un istante concepito come punto di fuga. C’è solo la prossimità, con una messa in sporcizia degli angoli e delle pareti dei palazzi che ricorda molto da vicino la Gotham del Joker di Todd Phillips e molto meno quella de Il Cavaliere Oscuro di Christopher Nolan. Non è un bel posto questa Gotham. È invasa da invisibili tentacoli che continuano a trascinarla giù, nonostante l’Uomo Pipistrello sia in attività da un paio d’anni e il boss della mafia Salvatore Maroni al fresco dietro le sbarre con l’aiuto del tenente Jim Gordon (Jeffrey Wright).
Eppure qualcosa continua a scuoterla, come l’arrivo degli efferati omicidi de L’enigmista, figura criptica come ne suggerisce il nome che sembra avere qualcosa da dire, un delirio da urlare, un complotto da svelare. A risolverlo chiama direttamente lui, The Batman. Lo incita, lo provoca a giocare un gioco da uomini nel buio più profondo dove la luce del sole non arriva mai. Ma il Batman scritto da Matt Reeves e Peter Craig è tutto fuorché un uomo, anche se si atteggia da tale nei toni e negli slanci di presenza scenica.
L’intuizione geniale del film è renderlo un teenager irrisolto, una figura puberale condannata dal trauma e bloccato nella fase della negazione, mosso più dall’ira («I’m vengeance») che dalla lucidità. Non è un caso se sulle spalle gli sono calati i motivi sonori dei Nirvana, al fianco della colonna sonora di un Michael Giacchino in forma smagliante. Nonostante tutti i tentativi di mascherare – letteralmente – i propri fantasmi, il Bruce Wayne di un oramai sempre puntuale Robert Pattinson si veste da adolescente (porta la tuta del pipistrello in uno zainetto mentre va in moto), parla molto e come un adolescente (soprattutto negli scambi con l’unico che lo guarda in volto, l’Alfred di Andy Serkis), agisce come un adolescente (quando anche lui osserva di nascosto, carico d’ormone, nel riquadro di una finestra Selina Kyle cambiarsi d’abito).
Non sembrano sufficienti tutti i gingilli tecnologici a rendere questo Batman realmente compiuto, il detective più famoso del mondo che dietro la maschera cade a pezzi (sta tutta qui la differenza con i “giganti” di Snyder, anni luce da qui). Attorno a lui si districa una trama da thriller puro, mai come ora distante dai toni supereroistici e piuttosto allineata al noir sui tratti crudi dell’hard boiled. Non ci vuole molto per far correre la testa verso David Fincher, con il pensiero in particolare alle atmosfere cupe di Seven e poi anche Zodiac, dove però The Batman pare intercettare lateralmente anche alcune vertigini della saga di Saw.
Il film di Reeves è un’opera che ripensa il personaggio facendolo tornare alle origini da investigatore e spogliandoli degli influssi del cinecomic contemporaneo, lavorando con le sue tre ore che sono una dichiarazione d’intenti certamente sul percorso narrativo dell’indagine (che mescola un po’ gli albi di Hush, Il lungo Halloween e Anno uno), ma anche sulla coerenza visiva di spazi chiusi anche se a cielo aperto, di volti da squalo e sulla quasi totale assenza d’ironia.
Sull’altare delle politiche di distribuzione e rating è sacrificato il sangue, che è poco se non nullo anche quando dovrebbe scorrere quasi copioso, ma si compensa con la forza dei comprimari che tessono l’arazzo di queste Gotham Chronicles pure nel momento in cui sono presenze spostate ai margini, come il Pinguino di un Colin Farrell irriconoscibile sotto il trucco, che fa da mastice lì dove è chiamato in causa.
La Catwoman di una azzeccatissima Zoë Kravitz è invece perfetta nel bilanciare a livello di icona generazionale Pattinson, così come controcampo felino e affilato della tensione ormonale che spinge il ragazzo-Bruce nei suoi confronti (bellissime le pur brevi sequenze dei due in moto). A spiccare sono però anche gli strappi esagitati dell’Enigmista di un Paul Dano folle, primordiale, radicato nelle tensioni della contemporaneità mentre è accompagnato dalla gigantesca ombra di un mefistofelico John Turturro nei panni di Carmine Falcone, performance senza alcun dubbio tra le migliori del film.
Matt Reeves, che di turning point se ne intende sin da quando arrivò nei cinema con Cloverfield, riscrive e re-immagina un percorso alternativo per il suo The Batman dalla statura dolente e convinto di non poter essere altro oltre a questo, perso nei labirinti dei propri tormenti mentali e impossibilitato a farsi portatore di una luce, di una speranza per quella città che lo addita come problema e non soluzione. Un’opera ricca e ostinata nella sua volontà di tracciare una linea netta, da vedere e rivedere, densa di suggestioni, scorci e sequenze già destinate a fare la storia dell’Uomo Pipistrello sul grande schermo.