Lo scorso 11 marzo è approdato su Netflix The Adam Project (trailer), il nuovo sci-fi movie diretto da Shawn Levy che, dopo il recente successo di Free Guy – Eroe per gioco, fa nuovamente team-up con un Ryan Reynolds interamente coinvolto nel progetto con la sua casa di produzione, la Maximum Effort in collaborazione con Skydance. Il film, facilmente ascrivibile al genere del cinema per ragazzi estremamente popolare nell’industria cinematografica americana degli anni Ottanta, si configura come un’altra interessante tappa formativa nel percorso filmografico di Levy.
Infatti, partendo da un’indiscutibile derivazione dallo Spielberg di E.T. l’extra-terrestre, da Ritorno al futuro di Zemeckis per il tema delle conseguenze del viaggio nel tempo, fino a Explorers di Joe Dante e Navigator di Randal Kleiser, The Adam Project riesce con grande efficacia drammaturgica e immaginifica a riconfigurare gli archetipi, le figure e i discorsi di un laboratorio immaginario costitutivamente americano e a rifunzionalizzarli nell’attuale contemporaneità liquida che la studiosa Amanda Lotz in un suo recente volume definisce acutamente “l’età Post Network”.
L’high concept del film è il seguente: i viaggi nel tempo esistono, soltanto che al momento non ne sappiamo abbastanza. A partire da questa premessa contestuale, nel 2050 un pilota di nome Adam Reed (Ryan Reynolds) per impedire una catastrofe planetaria è costretto ad attraversare un wormhole che lo riporta indietro nel tempo nel 2022, dove inaspettatamente incontra il suo sé dodicenne (Walker Scobell) fragile e introverso, che ancora fatica terribilmente ad elaborare il trauma della perdita del padre (Mark Ruffalo). Dal momento in cui i due fanno conoscenza della rispettiva controparte adulta e bambina, assistiamo ad un’avventura che trascinerà nuovamente i due Adam a viaggiare indietro nel tempo nel 2018 per evitare che Maya Sorian (Catherine Keener), un’avida imprenditrice che in passato finanziava le ricerche sperimentali del padre di Adam, si impossessi definitivamente dei segreti e delle informazioni che la renderebbero la sovrana indiscussa del viaggio nel tempo.
Sebbene il film presenti alcune ingenuità di scrittura (su tutte un terzo atto eccessivamente sbrigativo), e una CGI che non regge fino in fondo le aspettative prefigurate dall’incipit, bisognerebbe altresì focalizzarsi maggiormente su quelle che sono le reali intenzioni e ambizioni discorsive del film. The Adam Project, infatti, oltre a poter fare affidamento su un cast di grande pregio, di cui fanno parte anche Jennifer Garner nel ruolo della madre di Adam e Zoe Saldaña nel ruolo dell’interesse amoroso della versione adulta di Adam, punta e colpisce un preciso target di riferimento: le famiglie e gli adolescenti.
In questo senso, il talento per il romanzo di formazione di Levy, già coproduttore e regista di alcuni degli episodi più convincenti di Stranger Things, e la presenza di un Ryan Reynolds costantemente a suo agio nell’interpretare varianti sottilmente più eccentriche di se stesso, restituiscono un racconto adolescenziale capace di evocare grandi sentimenti quali l’amore, l’amicizia, la famiglia, la crescita, la perdita e il riscatto, in maniera mai stucchevole ma sempre divertita e consapevole.
Pertanto ci sembra che il miglior complimento che si possa fare a Shawn Levy è quello di pensare che egli riesca a girare il film sul set dalla prospettiva di uno spettatore seduto in sala che immagina già di vedere sul grande schermo la storia che sta raccontando e filmando. Alcune osservazioni di merito andrebbero spese anche per il design dei props (ci riferiamo in particolare ad una lightsaber di starwarsiana memoria) e per gli effetti visivi del primo atto che danno un contributo necessario e altrimenti inappagato per quel sense of wonder che il film vuole comunicare. Sebbene da un lato The Adam Project rispetti per la sua quasi totalità le logiche produttive e figurative di una distribuzione su piattaforma sempre più standardizzata, dall’altro lato, invece, ha il grande pregio di sviluppare un plot accattivante in funzione dell’esplorazione di alcuni temi portanti di cui, sicuramente, abbiamo sempre bisogno.
The Adam Project è una collezione, sotto forma di avventura fantascientifica, di tanti What if. E se potessimo parlare con il nostro sé dodicenne, che cosa gli diremmo? E se potessimo essere tristi piuttosto che arrabbiati, cosa preferiremmo scegliere? Inoltre, dovremmo anche chiederci quanto sia importante lungo il nostro percorso di autoconsapevolezza perdonare se stessi e chi ci sta vicino. Lo sappiamo, nulla di troppo originale. Ma forse il nostro bisogno di raccontarci sta proprio nel ripeter(si)ci.