Tesnota (qui il trailer) è l’opera prima di Kantemir Balagov (nato a Nalchik, capitale della Repubblica Autonoma di Kabardino-Balkaria, dove ha frequentato i corsi di cinema tenuti da Aleksandr Sokurov), presentata alla sezione Un Certain Regard della 70esima edizione del Festival di Cannes. La pellicola è ispirata ad una storia realmente accaduta negli anni Novanta, con una messa in discussione del principio secondo il quale una persona dovrebbe sacrificarsi per salvare coloro che ama (principio essenziale nel Caucaso, rivela il regista) e la rappresentazione di un periodo di grande tensione a cavallo tra le due guerre di Cecenia.
1998: Ilana ha ventiquattro anni, vive con la sua famiglia di origine ebrea a Nalchik e lavora nel garage del padre. Una sera, il fratello e la sua futura sposa vengono rapiti. La famiglia si metterà alla ricerca dei soldi del riscatto, trovando infine in Ilana la soluzione al problema.
Tesnota significa vicinanza ma anche sensazione di costrizione. È questo quello che prova Ilana, ragazza ribelle di famiglia ebraica che rivendica la sua libertà e indipendenza. La possibilità di decidere da sé, cosa fare della propria vita e di appartenere a se stessa, ma che si ritrova, per salvare il fratello, a essere designata come vittima sacrificale. Ilana è quindi costretta a sposare un membro della comunità dai suoi genitori e in particolare dalla madre, vera e propria figura castrante, ligia ai vecchi valori, che le dice come vestirsi e cosa deve e dovrà fare. E ciò avviene anche perché la comunità ebraica di appartenenza (o tribù, come Ilana la definisce spregiativamente) non è stata in grado di aiutarli, ormai ridotta a spazio chiuso, avversato dal resto della popolazione, dove l’altruismo e la solidarietà hanno lasciato il posto all’individualismo e al soddisfacimento dei propri interessi.
All’interno di questa doppia prigione l’unica via di fuga momentanea è tra le braccia del fidanzato kabardino (osteggiato dalla madre), dal quale ricerca quell’affetto, quell’amore e quegli abbracci che all’interno del nucleo familiare si traducono in forme di oppressione e soffocamento, ma che non può salvarla. Sono infatti le donne i personaggi più determinati del film, le uniche a prendere decisioni e portarle fino in fondo, quelle che si ritrovano costrette a reggere sulle proprie spalle il futuro della famiglia, laddove gli uomini sono deboli, inconcludenti e incapaci di prendere decisioni.
Ma Balagov amplia il proprio sguardo, per cui microcosmo e macrocosmo, la storia e la Storia si compenetrano e si chiarificano a vicenda. L’inquietudine e la rabbia dei personaggi non riguardano solo la sfera individuale ma rimandano a un ben preciso periodo, quello che si trova in una forbice tra le due guerre di Cecenia, quando la tensione era imperante e sempre sul punto di scoppiare, e il fondamentalismo islamico iniziava a diffondersi tra i giovani. Per questo una delle scene più dure e centrali del film è la visione di un video di un soldato della milizia cecena che uccide un prigioniero russo, non prima di aver ascoltato una canzone dell’antisemita Mutsureyev.
Dal punto di vista registico Balagov fa ricorso al formato 4:3 per rendere in maniera visiva la sensazione di prigionia che vive la protagonista e rimane attaccato ai corpi e ai volti degli attori (tutti bravissimi, a partire da Darya Zhovnan che si è ispirata alla Mouchette di Bresson e alla Rosetta dei Dardenne). Corpi e volti che diventano i veicoli privilegiati per comunicare stati d’animo, tensioni e desideri, rafforzati anche da un sapiente uso del colore, con la prevalenza del giallo ocra (oppressione), del blu (libertà) e del rosso (rabbia e ribellione).
Con Tesnota, Balagov si presenta dunque come regista che crede nell’immagine, nella sua forza espressiva e comunicativa, adottando uno stile materico e fisico, che non fa alcuno sconto allo spettatore e che, proprio in virtù di questo, risulta difficile da dimenticare.