Tra le opere più celebri della filmografia di Martin Scorsese, Taxi Driver (1976) (Trailer) occupa sicuramente una posizione di rilievo, sia per il suo valore socioculturale quanto per il suo aspetto squisitamente esistenziale. Il film può essere considerato un crocevia tra il Cinema classico alla John Ford e la New Hollywood che, tra i numerosi cineasti, annovera Woody Allen, Francis Ford Coppola, lo stesso Martin Scorsese e Michael Cimino.
Taxi Driver non è strettamente la tragedia di un uomo qualunque, essendo il protagonista un veterano del Vietnam (che tuttavia non diverrà mai un John Rambo), bensì il racconto di una solitudine claustrofobica che raggiunge la catarsi. Il regista Martin Scorsese e lo sceneggiatore Paul Schrader dipingono una New York disperata e violenta, lontana ed estranea a quella rappresentata nei “film-cartolina” di Woody Allen, questi ultimi ancorati a circoli di raffinati intellettuali. Ma, oltre a ciò, il protagonista Travis Bickle (Robert De Niro), non è un uomo in preda a un’iperattività depressiva sull’orlo di una crisi di nervi, come i personaggi grotteschi di Allen. Egli è un individuo angosciato e spaesato che si muove nella New York degli emarginati, perennemente alla ricerca di uno scopo e di un’identità.
Come afferma Gilles Deleuze, quella di Travis è una balade, una passeggiata, un “andare a zonzo” che riecheggia il girovagare dei personaggi di Michelangelo Antonioni. Nel Travis di Scorsese, pur trasformate, ritroviamo varie componenti care al regista ferrarese in quel decennio: la ricerca della verità da parte di Thomas (David Hemmings), Blow up (1966), si trasforma in ossessiva sete di giustizia in Taxi Driver; il sottile erotismo di Mark (Mark Frechette), Zabriskie Point (1970), diviene volgare pornografia in Taxi Driver; la fuga dalla propria identità da parte di Locke (Jack Nicholson), Professione:reporter (1975), diviene infine l’ostinata ricerca di normalità e integrazione da parte di Travis nella comunità dei taxi drivers.
Travis Bickle, nella sua solitudine delirante e insonne che lo conduce al mestiere di tassista notturno, inizialmente indifeso testimone delle angherie perpetrate da una fauna metropolitana sempre più alla deriva, aspira ad un nuovo diluvio universale in grado di ripulire le strade di New York. Sarà lui stesso a divenire artefice non di un diluvio quanto di un bagno di sangue, ovviamente tragico ma redentore delle coscienze. L’elemento acqua – sia esso sotto forma di pioggia o di diluvio o di pianto o di bagno purificatore – ricorre, divenendo tema ripetuto, tanto prima quanto dopo questo film di Scorsese. Vediamo ciò più in dettaglio.
Già nel 1969 Francis Ford Coppola, con Non torno a casa stasera, aveva raccontato la fuga dalla propria vita di una giovane moglie frustrata che, percorrendo le highways americane, incontra un personaggio diverso, Killer (James Caan), un emarginato giocatore di football. Qui saranno la pioggia e il pianto a divenire elementi di congiunzione tra i due.
Analogamente, oltre un decennio dopo, in Blade Runner (Trailer) (1982) di Ridley Scott, una pioggia interminabile scandirà i ritmi e i modi di una futuristica Los Angeles e culminerà con l’epica sequenza della riconciliazione tra il replicante Roy (Rutger Hauer) e l’umano, Deckard (Harrison Ford), mediata dalle Tears in the rain.
Questo ampio salto spazio-temporale comprende in sé, abbracciandole, tutte le vicissitudini di quei personaggi, naturalmente incluso il Travis Taxi Driver di Scorsese. La loro necessità di sentirsi vivi, infatti, è così impellente da spingerli a uscire dai modelli precostituiti: Killer farà una scazzottata con uno sceriffo corrotto e sfruttatore; Travis attuerà la famosa strage catartica; Deckard, graziato dal replicante Roy, finalmente partirà verso assolati itinerari ignoti con la bellissima Rachael (Sean Young). Come non leggere, in tutto ciò, un’inesaurita speranza, ancora presente in ogni protagonista?
Ma un ulteriore tema connette Taxi Driver al cinema classico: il vagare senza meta di Travis lo condurrà a conoscere la giovanissima prostituta Iris (Jodie Foster), sfruttata da Sport (Harvey Keitel); Travis, mosso dalla frustrazione e dalla sete di giustizia, si farà carico in prima persona della liberazione di lei per farla ricongiungere alla famiglia d’origine.
Questa serie di azioni costituiscono un modello tematico già rintracciabile, con i dovuti distinguo, nel cinema di John Ford, specificatamente in Sentieri Selvaggi (1956). Lì, Ethan Edwards (John Wayne), era stato il cowboy avventuroso che aveva riportato a casa la giovane Debbie, rapita dagli indiani quando lei era ancora bambina. I due personaggi – Travis e Ethan – risultano quindi accomunati da una missione morale: ricondurre alla famiglia d’origine una giovane donna, poco più di una ragazzina. Tuttavia, se al termine della sua vicenda, l’Ethan di John Ford permane eroe solitario, decidendo di rimanere fuori dalla comunità (non entrando nella casa), alla fine della sua vicenda Travis raggiunge la sintonia con la comunità di appartenenza e recupera un potenziale futuro con la donna ambita (Betsy, Cybill Shepard). Tutto ciò a significare che il cinema classico di Ford si ostina a mantenere separate l’epopea del Far West dalla civilizzazione. Viceversa la New Hollywood di Scorsese, nel segno – l’elemento acqua in grado di mondare – di una speranza molto viva in quegli anni ’70 e nel passaggio ’80, attraverso una catarsi, opera un annullamento delle distanze tra civiltà e reduci del Vietnam.
Qualche anno dopo sarà Michael Cimino a esplorare le vicende di un possibile precursore di Travis mediante il personaggio di Mike, ancora interpretato da Robert De Niro, de Il cacciatore (1978): possiamo leggere tale film come un prequel di Taxi Driver in cui almeno parte della personalità di Travis sarà confinata e resterà nel Vietnam (l’amico Nick de Il cacciatore); ciò come a testimoniare che il compito del cinema della New Hollywood è stato il tentativo di suturare le ferite aperte nell’Uomo in quegli anni – si tratti di un giocatore di football, di un tassista o di un poliziotto futuristico – da molti punti di vista tra loro per nulla differenti.