A ottobre 2023 è uscita, in alcune sale italiane, una commedia nera indipendente firmata da Svevo Moltrasio (classe 1980). Gli ospiti (trailer) è stato realizzato attraverso un crowdfunding a seguito di una serie di video che analizzavano la situazione del cinema italiano (Come muore il cinema in Italia). Svevo ha raccolto 100.000 euro e ha girato e distribuito il film da solo, con l’aiuto di pochi collaboratori e nessuna star. Nessuna casa di distribuzione ha accolto il rischio di distribuire il film, lasciando a Svevo il compito di chiamare in maniera totalmente indipendente i cinema per trovare spazio nelle sale. Riempiendo la limitata disponibilità concessa inizialmente da un unico cinema, e allargando quindi la programmazione ad altri giorni, il film ha avuto una risonanza nazionale e molti cinema in tutta Italia hanno accolto il film di Svevo nelle proprie sale.
Hai già raccontato nei video le modalità in cui hai trovato i soldi e una distribuzione indipendente, quali sono state invece le sfide più difficili nei processi di ideazione e produzione?
La produzione è andata liscia, la cosa più difficile era trovare i soldi: mettere su il crowdfunding, che è andato fin troppo bene perché non ci aspettavamo tutta questa partecipazione. Pensavamo che il crowdfunding ci avrebbe dato un tot di soldi e il resto l’avremmo dovuto cercare in vie alternative, ma per fortuna non c’è stato bisogno. Superato quello scoglio lì, il resto è andato liscio: avevamo già tutto organizzato, le riprese sono andate bene, non ci sono stati intoppi, ci siamo pure divertiti. L’intoppo, ripeto, è stato trovare i soldi e dover distribuire il film nemmeno “in maniera indipendente”, ma distribuirlo senza distribuzione. Da solo ho chiamato i cinema: questo è stato il vero grande intoppo, che è andato bene, ma poteva andare molto meglio. Il mio caso non è assolutamente un unicum: tanti film vengono distribuiti così, in via del tutto indipendente con i produttori che cercano di portarli in giro. La differenza è che non hanno quel seguito che ho io sul web. Quindi, avendo già un pubblico, il mio prodotto per certi versi è da considerarsi più mainstream. È stato anzi paradossale farne una distribuzione del tutto indipendente, però è andata bene così e abbiamo cercato di trarne il massimo da quello che si poteva fare. Siamo arrivati a 62 mila euro di incassi: con una distribuzione vera a questa cifra l’avremmo ottenuta già la prima settimana.
Lasciando le vesti del regista e prendendo quelle dello spettatore, quali pensi siano stati gli errori dovuti alla ristrettezza del budget?
Non ci sono stati veri e propri errori, era tutto molto ponderato dall’inizio sapendo già che avevamo due lire. Non ho scritto il film sperando di farlo in grande, per poi trovarmi a restringerlo. La sceneggiatura l’ho scritta dopo che avevamo chiuso il crowdfunding, proprio per sapere esattamente che tipo di budget avevamo. Il film è venuto così come lo immaginavo, nei limiti del possibile. Io non dico che il mio film non ha difetti, dico che è stato pensato in quel modo lì, poi ovviamente se avessi avuto più soldi avrei avuto modo di lavorare di più con gli attori, con la fotografia, avrei potuto rifare qualche scena più volte. Non avendo avuto tempo: “ciak, buona la seconda, massimo la terza”. Con una settimana in più me le rivedevo più con calma. Però, grosso modo, il film è quello che avevo in testa. Poi tanto, anche se hai tutti i soldi del mondo, i film non vanno mai esattamente come li pensavi. L’obiettivo principale era proprio quello di imbastire un piccolo film che avesse una sua dignità, pur essendo girato con poco. Ero pronto al massacro della critica, avendo apertamente parlato male anche della critica italiana nei miei video, ma l’accoglienza è stata generalmente positiva. Non ci sono state tantissime recensioni, anche questo era prevedibile, ma sono state complessivamente positive, soprattutto da parte dei critici che stimo di più: non è un caso che quelli che invece stimo di meno, siano quelli a cui è piaciuto meno il film. Di stroncature senz’appello se cerchi su internet ce n’è una sola, da cui traspare anche un certo rancore. Ma tanto ormai la critica non conta più molto, dal momento che chiunque può caricare su internet la propria opinione: ma che me ne frega a me se pensi che il film è bello o brutto? Non ho bisogno di sapere la tua opinione. Su internet trovi di tutto, non ci sono più i film portati avanti dalla critica come un tempo, ammesso e non concesso che sia mai esistito questo fatto.
Vedere il film come specchio del contesto culturale di un’Italia post-Covid e i personaggi come archetipi italiani è la prima lettura che viene in mente, è la strada corretta? Suggerisci altre letture?
Quella lettura ci sta, non per forza post-Covid come elemento predominante. È vero che ci sono anche dei riferimenti ai vaccini, ma non mi concentrerei sul Covid. Più che altro penserei alla società odierna dove comunichiamo via social.
Lo stereo sul finale non chiude la storia ma apre a altre domande, puoi dirci qualcosa di più a riguardo?
Quello che volevo raccontare l’ho raccontato con il film. Perché aggiungere altro? Non ha molto senso che sia io a farlo, dovrebbero eventualmente farlo i critici. Il film ha la sua chiusa, anche se particolare, anche se lascia molte domande irrisolte. Poi se (la chiusa) rimane abbastanza aperta, è volontario. Mi piaceva l’idea che “quello che aveva ragione” alla fine fosse il più imprevedibile, anche se qualunque personaggio, in realtà, aveva qualche elemento contro di lui. Il finale è volontariamente poco convincente: la ragione non è da nessuna parte tra i personaggi, ammesso che ne esista una.
Hai nuovi progetti? cosa ci puoi dire a riguardo?
Sì, sto lavorando a un secondo film che è in fase piuttosto avanzata. Un tipico film piccolo italiano, con un potenziale cast che mi piace. Però diciamo che, nonostante sia un progetto con una produzione vera stavolta, che ha ottenuto potenziali finanziamenti statali, ministeriali, nonostante abbia già l’ok di molti attori importanti, sto comunque nella stessa condizione di prima. Non ho ancora una distribuzione. Siamo in una fase in cui aspettiamo risposte importanti.
Hai più volte affermato che i registi che ti hanno più influenzato sono stati Polanski, Buñuel, Allen e Eastwood. Nella trama degli ospiti si vede l’apporto di Polanski e Buñuel, mentre nei dialoghi si percepisce un tono alleniano (lo stesso che ti contraddistingueva anche in Ritals). Pensi che il prossimo progetto potrà essere più vicino a Eastwood?
No, se il prossimo progetto è quello di cui stiamo parlando, è ancora più vicino a Woody Allen, più vicino a Ritals. Rispetto a Gli ospiti è una commedia perfino più classica, una commedia da ridere, però ha diverse sottotrame, alcune un po’ più serie.
C’è chi afferma che non è più possibile una commedia all’italiana che colga l’immaginario popolare al giorno d’oggi, dove cambia tutto rapidamente, sei d’accordo?
Se tu fai una commedia su un avvenimento specifico ti invecchia rapidamente. Però non devi per forza: tutti i film inevitabilmente invecchiano, ma qualsiasi argomento può diventare universale se lo tratti in un determinato modo.
C’è bisogno di una nouvelle-vague nostrana per far riprendere le sorti del cinema in Italia? Sarebbe possibile?
Sicuramente ce ne sarebbe bisogno, ma non so se sia possibile. Penso che ci sia bisogno di un movimento collettivo, di una nuova scuola di autori, che non per forza si debba mettere insieme, ma non si può andare avanti con casi così sporadici, isolati. Sarebbe bello rinnovare il cinema in assoluto, il rapporto con il pubblico, non solo in Italia, ma non mi sembra proprio possibile.
Cosa consigli a chi vuole intraprendere la strada del cinema in Italia?
Non penso di essere la persona più adatta, perché non sono uno che ce l’ha fatta. Posso solo consigliare di non seguire le mie orme. Se uno vuole fare cinema, mi hanno sempre detto e purtroppo io non l’ho fatto, deve provare a entrare subito nel sistema, sin da giovani cercare di entrare sui set, nelle produzioni, anche portando i caffè.
Questo me lo dicevano sempre e non l’ho mai voluto fare. D’altra parte quello che invece ho fatto io e oggi è ancora più facile fare è mettersi subito alla prova, scrivere, girare. Se uno ha velleità autoriali, le metta alla prova subito. Mettersi in squadra, provare, vedere quali sono i propri punti di forza. Lanciatevi subito, non aspettate i soldi, i 40 anni. Io a 13 anni volevo fare l’autore, appena ho potuto, a 16-17 anni ho cominciato a scrivere le mie sceneggiature. A 18 ho comprato la mini-tv, la telecamerina e ho cominciato a girare e a montare. Poi mi sono isolato, questo è sbagliato, continuavo a fare le mie cose convinto che qualcuno prima o poi se ne sarebbe accorto. Non se n’è mai accorto nessuno. E soprattutto, guardate i film, quelli dei grandi maestri. Ma non penso di essere la persona più adatta a rispondere: oggi non vado più al cinema, non mi piacciono i film che escono. I nuovi autori non hanno la stessa profondità nell’affrontare delicatamente i temi, come gli autori di un tempo.