Suggestioni del 2024: i nostri film preferiti dell’anno

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Il 2024 sta per terminare e, prima di salutarlo, noi della redazione di DassCinemag abbiamo deciso di raccogliere i nostri film preferiti dell’anno in un articolo collettivo. Si tratta di una personale lista che fa riferimento a film usciti in Italia durante quest’anno che sta per chiudersi. E voi, li avete visti tutti?

IL RAGAZZO E L’AIRONE (Hayao Miyazaki)

IL ragazzo e l'airone, recensione

Hayao Miyazaki non è solo un grande maestro di animazione, ma è forse uno dei più importanti registi viventi al mondo. Il ragazzo e l’airone riesce ad essere su più strati un grande raccoglitore coerente di storia e poetica dello studio Ghibli. Il piccolo Mahito si traveste da Dante per poter fare un viaggio nell’aldilà, l’airone il suo ambiguo Virgilio. Il processo di elaborazione del lutto assume una connotazione inedita, una sfumatura di grigio tra occidente e oriente figlio di più filosofie e più religioni. La poesia per immagini, accompagnata dalla colonna sonora del leggendario Joe Hisaishi, non ha bisogno di essere capita ad ogni costo, ma nemmeno di essere interpretata. Il film è l’eredità artistica di un gigante che spera solo di trovare il giusto destinatario pronto ad accoglierla, così che possa continuare il lavoro pluridecennale con l’adeguato rispetto per un passato così ricco.

Di Alessandro Viani.

PERFECT DAYS (Wim Wenders)

perfect days, recensione

La luce che filtra tra le foglie degli alberi, un buon piatto caldo mangiato a fine giornata, la canzone giusta al momento giusto. La felicità è fatta di piccoli momenti “perfetti” nella vita di Hirayama, incastrata all’interno di una routine estremamente precisa. Wim Wenders ci porta nelle giornate di un silenzioso inserviente dei bagni pubblici di Tokyo – lavoro che svolge con pieno senso del dovere e un’apparente soddisfazione – al quale piace ascoltare musica, scattare foto e osservare ciò che lo circonda. Attraverso il suo sguardo, le sue abitudini e le sue reazioni agli “elementi di disturbo” che interrompono la metodicità della sua routine, scopriamo gradualmente il suo mondo interiore, fatto di una profondità e un’attenzione per i dettagli fuori dal comune. In una realtà frenetica come la nostra, il regista tedesco ci ricorda la bellezza del quotidiano attraverso il mantra del “qui e ora”, vero e proprio stile di vita per il protagonista. Arricchito da una memorabile colonna sonora fatta di grandi successi degli anni ’60 e ’70 e da una performance magistrale di Yakusho Koji, Perfect Days può essere considerato uno dei titoli più speciali dell’anno.

Di Giulia Mazzoneschi.

CIVIL WAR (Alex Garland)

civil war, la recensione

Alex Garland e la A24 hanno provato a riscrivere l’immaginario americano. Pensate a quanti film mostrano americani contro americani. Davvero pochi. Civil War lo fa. E lo fa sfaldando il mito della guerra, il mito del protagonista eroico, il mito dell’America unita contro un nemico comune. La guerra non serve a creare un’identità nazionale. Con una forma di narrazione frammentata, episodica, Garland racconta il crollo personale dell’esperta fotoreporter Lee Smith, che si confronta con la nascita di un suo doppione, proprio di fronte a lei. Lee si rivede in Jessie, come in uno specchio, ed entra in crisi. E mentre la sua identità morale dà sempre meno sicurezze, il gruppo di giornalisti avanza contro il potere centrale di Wahington. Un progresso da Ovest a Est. È la frontiera che si mangia i territori controllati. Non sono gli Stati Uniti a prendersi ciò che sta oltre: è ciò che sta oltre a prendersi gli Stati Uniti.

Di Paolo Moscatelli.

ANORA (Sean Baker)

anora, la recensione del film

Anora si perde per le strade di Brooklyn mentre cerca sé stessa. Chi è davvero lei? La spogliarellista che sa esattamente come farsi desiderare o la donna che tra i meandri di braccia pronte a stringerla cerca affannosamente un reale contatto umano? Entrambi i suoi lati escono fuori prepotentemente, disperatamente, mentre conosce Vanja, un giovane ragazzo perso, esattamente come lei. I due non potrebbero essere così diversi, eppure, in folgoranti momenti di estasi in cui si annusano, si incastrano, si modellano, tentano quella spinta in più, provano a sdradicarsi per ricostruirsi. Anora probabilmente ce la farà, Vanja no. Sean Baker costruisce un film estremamente imprevedibile che riesce a giocare su due livelli: esplora i tumulti interiori della sua protagonista ma, al tempo stesso, riesce ad alleggerire il forte portato emotivo, creando una seconda linea narrativa incredibilmente ironica. Questa spinta ad andare oltre, a sperimentare modalità anticonvenzionali con le quali trattare tematiche come il sex work, rendono sicuramente Anora uno dei film più interessanti del 2024.

Di Francesca Nobili.

ESTRANEI (Andrew Haigh)

estranei, la recensione

Siamo mai davvero soli? Del tutto isolati, in compagnia di nessun altro se non di noi stessi? Adam (Andrew Scott) ha perso tragicamente i genitori quando aveva una decina di anni. Adesso vive – da solo – in un appartamento nei sobborghi londinesi, lontano e distaccato dal flusso vorticoso della vita urbana. Nel palazzo di recente costruzione si crede per un po’ l’unico essere vivente, ma qualcun altro (Paul Mescal) ne attraversa gli spazi. La solitudine è per Adam condizione esistenziale, che lui stesso, d’altra parte, popola continuamente di “anime parlanti”, senza l’interazione con le quali la sua realtà mancherebbe di consistenza. Per Estranei, all’autore Andrew Haigh bastano quattro personaggi (interpretati con commovente vulnerabilità da Scott e Mescal e con calorosa tenerezza da Claire Foy e Jamie Bell), tre ambienti (due abitazioni – una nella disabitata periferia industriale, l’altra in un quartiere residenziale – e la linea metropolitana che le collega, splendidamente catturate dall’obiettivo di Jamie D. Ramsay) e due intramontabili hit anni Ottanta (Always on My Mind dei Pet Shop Boys e The Power of Love dei Frankie Goes to Hollywood) per regalare allo spettatore uno dei ritratti più universali dello “stare al mondo” che possa vedere sullo schermo.

Di Francesca Protano.

GLORIA! (Margherita Vicario)

gloria!, la recensione del film

Gloria alle donne, gloria alla musica, ma nessuna gloria all’istituzione che le ha sempre governate imponendo i suoi schemi rigidi e assurdi. Margherita Vicario omaggia l’arte che l’ha resa celebre e insieme proclama la rottura con un pensiero religioso che stava per decretarne la morte, immaginando un momento di liberazione totale dal regime di oppressione della Chiesa cattolica nei confronti delle donne. Protagonista del film è un gruppo di allieve di musica di un istituto religioso per orfane, guidate dalla giovanissima Teresa in un moto di ribellione pacifico e creativo. L’ambizioso progetto di Teresa per svincolare tutte le giovani allieve dal giogo dell’istituto e donare loro un’affermazione identitaria che neanche pensano di meritare è reso attraverso un’elegantissima coreografia di musiche, regia e interpretazioni che trova nella Vicario la perfetta burattinaia. Gloria! sorprende non solo per la cura e l’attenzione prestata per ogni comparto della sua realizzazione, ma anche per una freschezza inedita e preziosissima per l’attuale panorama cinematografico italiano.

Di Claudia Teti.

DUNE – PARTE 2 (Denis Villeneuve)

dune parte 2, la recensione

Denis Villeneuve compie l’impresa che David Lynch aveva abbozzato e che Jodorowsky aveva vagheggiato, lo fa con un sequel che estrapola tutto l’epos stipato nel primo film e ne esplode la latenza. La mitopoiesi di Dune si carica allora di suggestioni messianiche e di pathos veterotestamentario, passa per leviatani arenosi e oracoli delfici, inscena una taurokhatapsia iniziatica con gli Shai-Hulud, si insinua tra culti antichi e comunità profetiche scisse. Recupera anche tutto lo scenario politico intricato dell’esordio puntando su una risoluzione più muscolare e meno sotterranea, preferendo il corpo a corpo al camuffamento, riempiendo arene di sabbia e sporcandole di sangue, contrapponendo a un Paul Atreides dalla solennità riacquisita un Feyd-Rautha Harkonnen che Austin Butler restituisce nella sua ferocia asettica. L’asticella visiva si alza ulteriormente perché Villeneuve conferma di avere la peculiare abilità di rivitalizzare luoghi deserti, di stagliare silhouette in paesaggi sconfinati e costruire per mezzo di un gigantismo fantascientifico un sublime tecnologico che aveva già i suoi semi in Arrival.

Di Paolo Falletta.

PAST LIVES (Celine Song)

past lives, recensione

Inyeon (인연) significa provvidenza o destino, un concetto secondo cui tutto è collegato. Past Lives racconta di Nora e Hae Sung, due amici d’infanzia che si (ri)trovano dopo tanti anni. Nora ha costruito la propria vita negli Stati Uniti, diventando drammaturga e con una relazione stabile, Hae è rimasto in Corea del Sud per diventare ingegnere. Davanti ai due si apre un bivio lancinante, quello del “cosa sarebbe successo se…”, aprendo la loro mente ad un ampissimo numero di domande: se non fossi partita, se avessi scelto altri studi, un altro compagno. Celine Song parla delicatamente di identità attraverso le relazioni del quotidiano e al muoversi dentro ad una città (New York) che, a sua volta, diventa personaggio, o come il vivere in una determinata nazione ci edifichi. È un film di luoghi oltreché di persone, di emozioni che si intersecano dentro a degli spazi. «Se due sconosciuti si incrociano per strada e i loro vestiti inavvertitamente si sfiorano, significa che ci sono stati ottomila strati di inyeon tra di loro». È vero che tutto è collegato, ma quel “tutto” non possiamo averlo. E allora non si tratta mai di destino, si tratta sempre e solo di scelte.

Di Edoardo Marchetti.

THE APPRENTICE (Ali Abbasi)

the apprentice, la recensione

Il film sorprendente del 2024 è lo straordinario The Apprentice di Ali Abbasi. Quello che sorprende di un film su Trump, in effetti, non può essere tanto la storia raccontata o il personaggio larger-than-life al centro della scena, che è super protagonista dentro il film quanto nella nostra vita quotidiana (e questo il film lo racconta benissimo, di quanto telegenico sia il tycoon).  A sorprendere è il fatto che in un dibattito pubblico iper polarizzato Abbasi (e Sherman) abbiano la voglia, il coraggio e la grande bravura di astrarsi dai giudizi politici più mediocri, per fare di un pezzo biografico del genere un ritratto rock e selvaggio dello spirito americano – da elemento esterno quale è il regista, mezzo danese mezzo iraniano – con una forza, un’energia e una disinvoltura appassionanti, che lasciano (per fortuna!) largamente delusi partigiani di ogni fazione. Non c’è esaltazione, non c’è demonizzazione: Trump è un epifenomeno sociale straordinariamente semplice e complesso allo stesso tempo, geniale e affascinante quanto repulsivo e spiazzante, perfettamente comprensibile eppure sfuggente. E le due interpretazioni di Stan, e soprattutto di Strong nei panni di un mefistofelico avvocato maccartista, insieme a una musica a dir poco calzante e incalzante, creano un mix difficilmente dimenticabile. 

Di Gabriele Mutatempo.

CATTIVERIE A DOMICILIO (Thea Sharrock)

cattiverie a domicilio, la recensione

Cosa succede quando un whodunit à la Agatha Christie incontra il tagliente humour inglese? È quello che esplora Thea Sharrock con il suo Cattiverie a domicilio. Delle lettere dal contenuto osceno iniziano a sconvolgere la tranquillità della bigotta e conservatrice Edith (Olivia Colman) e di Littlehampton, la cittadina della costa sud britannica che fa da ambientazione agli eventi. Un crimine, questo, di cui è ritenuta colpevole Rose (Jessie Buckley), una giovane irlandese da tutti guardata con sospetto per il suo sottrarsi al moralismo puritano a cui si piegano i suoi concittadini. Cattiverie a domicilio è un’irriverente satira al femminile, in grado di cogliere le ipocrisie dell’Inghilterra reazionaria, perbenista e machista a cavallo tra le due guerre, un paese in cui sembra non esserci spazio per il diritto all’autodeterminazione. E lo fa sapendo trovare un perfetto equilibrio tra leggerezza e dramma, con un cast d’eccezione capace di dare vivacità e brio ad una sceneggiatura altrimenti troppo ingessata.

Di Francesca Gentile.

LIBRE (Mélanie Laurent)

libre, la recensione

Sono tanti i film degni di nota ad aver calcato la scena cinematografica del 2024 e tra questi spicca Libre, l’opera seconda di Mélanie Laurent, che ha debuttato all’ultima Festa del Cinema di Roma. Al centro della vicenda è la memorabile vita di un insolito criminale, Bruno Sulak, divenuto molto noto non tanto per le sue innumerevoli rapine, quanto piuttosto per la sua bonarietà e per il piacevole vizio di non fare mai vittime. I rimandi all’avanguardia francese, la brillantezza dei dialoghi e, non per ultimo, l’eccezionale lavoro sugli attori hanno reso il film difficile da dimenticare. Ma ciò che più colpisce è la recitazione. Infatti, affiancare un attore già affermato come Lucas Bravo non è certo un compito facile, eppure Léa Luce Busato riesce a farlo benissimo. Qua la regista ha scovato una vera e propria stella, infatti, sebbene fosse una delle sue prime esperienze sul set, la giovane attrice italo-francese riesce a regalarci una performance incredibile, che emerge per una marcata naturalezza e sensualità. Il ruolo di Annie le calza a pennello, ma è la sua grande personalità a rendere il suo ricordo indelebile. Il suo talento fa il resto e la lancia improvvisamente nel grande cinema. Qui Mélanie Laurent ha sfornato una vera chicca da riguardare costantemente, per ricordarci che, a volte, basta una storia semplice per fare grande cinema.

Di Leone Bulgari.

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