Come da due anni a questa parte la redazione del DassCinemag stila una lista (ovviamente parziale) delle sue serie TV dell’anno, senza pretesa alcuna di andare a prendere necessariamente quelle ritenute migliori. Non si tratta quindi di una classifica, piuttosto è un compendio di pareri su opere liberamente scelte dalle autrici e dagli autori della webzine che hanno deciso di partecipare.
I titoli che troverete considerati qui di seguito hanno avuto la loro release pubblica e il primo passaggio sugli schermi all’interno dell’arco solare.
Andor
La saga di Star Wars è sempre stata un oggetto di riflessione politica. Certo, talvolta i puristi restano legati più al valore del mistico, al richiamo di quel fantasy mascherato da sci-fi che aleggia sotto il nome della Forza. Ma nonostante sia indiscutibile il valore fosse solo mitopoietico della trilogia originale, è nella certamente dicutibile trilogia prequel (per i profani: Episodio I, II e III) che l’universo di Star Wars si qualifica però come materia realmente complessa. Quando il male si toglie la maschera archetipica e si insinua negli intrighi di palazzo, quando persino la Forza si contorna di sfumature di grigio e tanti dubbi.
Ebbene, Andor è la migliore serie TV legata al cosmo di Star Wars perché è un grigio costante, è sporca, cinica, scritta bene (!) e alimentata da personaggi su cui si montano serie nella serie (il Kino Loy di Andy Serkis è già memorabile). Arriva dopo un periodo fiacchissimo che ha amareggiato fan vecchi e nuovi – stiamo ancora contando i danni di The Book of Boba Fett e Obi-Wan Kenobi – e in quanto prodotto ancillare già costola di uno spin-off (meraviglioso) come Rogue One raccoglie un pubblico estremamente ristretto, ma qualifica la dignità di quella parola su cui si basa la Ribellione, “Hope”, si fa rabbiosa nel furore degli oppressi e cresce, cresce, cresce episodio dopo episodio.
di Alessio Zuccari
Bangla
Dopo il successo del lungometraggio del 2019, Phaim Bhuiyan esplora il formato seriale con Bangla – la serie, disponibile su RaiPlay e ideale sequel del film. Negli otto episodi continuiamo a seguire le vicende di Phaim (lo stesso Bhuiyan) che, non partendo più per Londra, si trova a vivere in subaffitto nella casa di amici di famiglia. Alla nuova convivenza difficile si aggiungono gli stessi problemi di sempre con la fidanzata Asia (Carlotta Antonelli) che fanno emergere le differenze culturali e caratteriali tra i due.
Bangla – La serie conserva la stessa ironia del lungometraggio ma acquisisce maturità grazie anche al formato più esteso che permette di esplorare in maniera più approfondita le varie sfaccettature dell’essere un ragazzo di seconda generazione, in bilico tra due identità e due culture diverse che spesso è difficile mediare. Con estrema empatia Phaim Bhuiyan mette in scena quella che è la quotidianità di centinaia di migliaia di ragazzi italiani, dimostrando il forte potere comunicativo dell’autorappresentazione di una comunità.
di Marianna Peperna
Conversation With Friends
Il 2022 è stato l’anno di Sally Rooney. Non poteva essere altrimenti, con un nuovo libro che l’ha portata, ancora, in vetta alle classifiche di vendita e un’altra serie inevitabile dopo il successo di Normal People. Stavolta però la writers’ room ha fatto a meno di lei. La scrittrice per concentrarsi su Dove sei, mondo bello ha infatti lasciato ad altri (Alice Birch e Mark O’Halloran) Conversation With Friends, adattamento del suo primo romanzo. Dodici episodi davanti ai quali i confronti sono inevitabili, non solo con la serie sorella di due anni fa, ma anche con il libro stesso. Paragonare adattamento e opera originale è spesso una prospettiva miope, che vede quest’ultima uscirne inesorabilmente vincitrice ai danni del primo. Eppure in questo caso non è così: l’oggettività dell’immagine dona nuove sfaccettature ad una storia che sulla carta faceva della soggettività quasi opprimente della sua protagonista la lente principale.
Conversation With Friends è una serie delicata e non devastante, pensata per essere sorseggiata lentamente e non divorata, una serie che lenisce ferite e dolori e non squarcia le membra creandone di nuovi. È l’opposto di Normal People insomma e va bene così, era giusto andare avanti, anche se ciò significa tornare indietro fino all’esordio della scrittrice incoronata voce di una generazione.
di Lavinia Flavi
Dahmer
Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer (come si evince dal titolo) segue le vicende del tristemente noto Jeffrey Dahmer, famoso serial killer che tra il 1978 e il 1991 terrorizzò l’America con i suoi efferati omicidi ai danni principalmente di giovani uomini omossessuali. La serie non mette solo in scena i terribili delitti del killer, ma riesce con successo ad esplorarne la tormentata e labile psiche, fornendo così un completo e approfondito ritratto dell’uomo che si nasconde dietro al mostro.
Nel fare ciò, chiaramente, lo show non giustifica assolutamente l’assassino, ma tramite esso tenta di mettere in luce i numerosi problemi che affliggevano la cinica società statunitense a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Una storia cupa, realistica e profonda, che non lascia spazio all’immaginazione; decisamente uno dei prodotti Netflix più solidi e riusciti dell’ultimo anno.
di Lorenzo Silvestri
Esterno Notte
Per la seconda volta dopo Buongiorno, notte (2003) Marco Bellocchio si misura con i fatti del rapimento Moro: severo e coinvolgente, il regista tra i più politicizzati d’Italia mette in piedi un racconto che non risparmia molti volti della Prima Repubblica.
Esterno notte si divide in sei puntate, con la prima che è un vero e proprio sommario degli anni di piombo, un incendio di paura e sentimento politico, seguita da altre in cui si vanno ad approfondire le vicende del resto dei personaggi, più o meno noti. Con Fabrizio Gifuni (memorabile) alla guida del cast nei panni di Aldo Moro, l’opera di Bellocchio acquisisce un tono decisamente unico e suggestivo; inseguito da ombre istituzionali, l’ex presidente della Democrazia Cristiana si muove in un sentiero di rovi e porta simbolicamente la croce di un intero paese sulle spalle.
di Simone Orazi
Irma Vep
Un infinito susseguirsi di dissolvenze incrociate che rievocano i fantasmi del passato e ne generano di nuovi, per una vera e propria resa dei conti. Per Olivier Assayas c’è ancora una storia da poter raccontare con Irma Vep, serie ispirata dall’omonimo film diretto nel 1996. Una storia di un set, di altre storie personali che si incrociano e grazie al cinema, alla ricerca della “luce” (“difficile da inquadrare”, dirà Mira, interpretata da Alicia Vikander), permette di sconfiggere l’oscurità.
Il René Vidal interpretato da Vincent Mascaigne, rispetto a quello del 1996 interpretato da Jean-Pierre Léaud, vive probabilmente in maniera più grave le sue crisi, il suo fare cinema e la sua ossessione per il serial di Feuillade. Ma, stando ad Assayas, probabilmente è necessario attraversare la notte di Parigi (affrontata anche da Mira), essere posseduti dalla sublime magia nera del cinema, che tanto ci porta lontano dai nostri affetti, per poter sinceramente ritrovare l’amore per la noiosa vita di tutti i giorni e la capacità di sognare.
di Luca Di Giulio
La serie di Cuphead!
I due più grandi geni innovatori dell’animazione americana anni ’30, Max Fleischer e Walt Disney, sono ancora in vita. Se non lo fossero sarebbe impossibile spiegare il fenomeno de La serie di Cuphead!. Nei due simpatici protagonisti, e nei personaggi che fanno da contorno alle loro bislacche avventure, ritroviamo la stessa vitalità dei grandi classici. Steambot Willie, le Silly Symphony, Betty Boop, Koko il Clown, Bimbo… Le citazioni, per gli spettatori più appassionati del genere, fanno saltare dal divano in preda alla gioia. Persino il character design e lo stile di disegno vengono ricalcati in ogni minimo dettaglio. Basti pensare al Re Dado, uno dei villain della serie, costruito ad immagine e somiglianza della stella che più fece da riferimento per i cartoni animati di quegli anni: il leggendario Cab Calloway.
Ma il prodotto finale è soltanto uno specchietto per le allodole, in grado di far sentire colto il tipico veterano dei cartoni animati? Assolutamente no! La serie Netflix è divertente in ogni momento e per ogni età grazie alla sua comicità slapstick. La frenesia da cardiopalma e l’estetica retrò si fondono alla perfezione in questo gioiellino, trovando la sfumatura di grigio adatta in un mondo di colori vivaci.
di Alessandro Viani
Mercoledì
Mercoledì, serie tv creata dal genio di Tim Burton, si potrebbe descrivere con una semplice frase: rappresenta un outsider che porta in vita un’outsider. Oltre alla componente gotica e alla scelta cromatica che predilige i toni scuri e tetri, molto tipica del regista, Mercoledì regala un prodotto che, pur seguendo la linea del teen dark fantasy, propone un personaggio – diventato iconico soprattutto con le pellicole degli anni ’90 – decisamente più maturo.
Tim Burton ci presenta una Mercoledì pungente, cinica e meravigliosamente macabra, dalla quale si può solo trarre un insegnamento: spesso non si impara da chi è diverso, ma da chi è complicatamente sincero e schietto, senza filtri. Mercoledì mette infatti di fronte alle verità della vita, quelle di cui spesso si ha timore, senza addolcire la pillola, poiché essere adulti comporta anche questo: essere pronti a tutto, anche alla morte se necessario, senza nascondersi dietro occhi dolci e parole caramellose. La Mercoledì Addams di Burton è consapevole della sua identità, è una fuori classe. E nonostante sia più adulta degli altri, trova il coraggio di riscoprirsi e di crescere. Quello che gli adulti, proprio perché tali, non fanno più. Smettendo di mettersi in discussione.
di Valeria Maiolino
Moon Knight
Uscita tra il 30 marzo e il 4 maggio 2022, la miniserie Moon Knight estende l’intricatissimo albero dell’ineluttabile Marvel Cinematic Universe ed approfondisce il suo omonimo e misterioso supereroe. Se WandaVision (2021) somigliava ad un traumatico delirio schizofrenico, in cui il mondo che ci circonda è corollario di mostri e solitudine, Moon Knight esplora con molto più humor e azione il disturbo dissociativo d’identità di cui è affetto il gracile protagonista Steven Grant. È Oscar Isaac ad interpretare “il cavaliere oscuro” targato Marvel ed incorpora con solenne bravura le personalità di Grant e Marc Spector, alias Moon Knight.
La miniserie Marvel è una delirante seduta di psicoterapia, in cui l’intesa fraterna tra i due protagonisti può essere anche letta come la complicata accettazione del disturbo mentale diagnosticato. Moon Knight è la prova fantastica che attesta una delle direzioni intraprese dal mastodontico progetto di Kevin Feige, a seguito di Avengers Endgame (2019): indagare l’elaborazione di un trauma collettivo, qualunque esso sia. Ed infatti i film della Fase 4, da Shang-chi e la leggenda dei Dieci Anelli (2021) a Black Panther: Wakanda Forever (2022), ne sono la prova.
di Eugenio Sommella
The Bear
Siamo a Chicago, Carmy (Jeremy Allen White) è un talentuoso chef tornato in città per gestire la paninoteca che ha ereditato da suo fratello morto suicida. Oltre ad elaborare il lutto, il protagonista tenterà di far funzionare le cose dentro un ristorante che sembra destinato al fallimento. Ad aiutarlo (ed ostacolarlo) un team di personaggi con intensi vissuti personali. C’è Richard (Ebon Moss-Bachrach), apparentemente burbero e con una propensione agli scontri, Sidney (Ayo Edebiri), una talentuosa cuoca eccessivamente perfezionista e Marcus (Lionel Boyce) con il sogno della pasticceria e la testa costantemente tra le nuvole.
Tutto in The Bear è finalizzato a restituire il clima di caos che si trovano ad affrontare in cucina i protagonisti: il ritmo concitato, la colonna sonora, il montaggio serrato. Lo spettatore non può fare a meno di ritrovarsi naturalmente immerso in questa atmosfera di disordine e confusione. La serie tv nasconde, dietro alla sua apparente trama “culinaria”, tematiche di grande spessore: la sensazione di inadeguatezza che porta l’essere umano a sprofondare, il senso di fratellanza che nasce in luoghi inaspettati e, soprattutto, la volontà di dimostrarsi più forti delle proprie paure.
di Francesca Nobili
The Offer
Il 15 settembre fa il suo arrivo in Italia la piattaforma di streaming Paramount+, e come dare inizio a una degna programmazione se non con la serie più autocelebrativa che si potesse fare in onore della storica casa di produzione? The Offer, miniserie in dieci episodi che racconta la storia della realizzazione de Il padrino, sprizza omaggi alla Paramount Pictures (casa produttrice del film) da tutti i pori, ma lo fa nel rispetto ossequioso e quasi maniacale dei fatti, creando una ricostruzione impeccabile della Hollywood degli anni ‘70.
A contribuire al processo di rivivificazione del contesto produttivo di una pietra miliare del cinema come il film di Coppola sono soprattutto le interpretazioni di un cast d’eccezione (Miles Teller, Juno Temple, Giovanni Ribisi, per dirne alcuni) selezionato, studiato con cura e diretto in modo da riportare alla luce anche i più impercettibili tic di un divo come Marlon Brando o Al Pacino. Sembra che la serie rischi di perdersi in tutta questa minuziosa fedeltà visiva eppure lo sviluppo narrativo della storia risulta sorprendentemente lineare e ogni scena si incastra perfettamente con quella successiva senza inquadrature o dialoghi di troppo. The Offer si rivela una piacevole sorpresa in questo 2022 e un prodotto di alta qualità in grado di competere con le serie televisive di un’emittente storicamente e qualitativamente affermata come HBO.
di Claudia Teti
The Old Man
Quella di Dan Chase ha tutta l’aria di essere una vita come tutte le altre. La vita di un uomo anziano e solo, chiuso nei ricordi di una casa, mentre fuori il mondo scorre lasciandolo indietro. Allo stesso modo, a prima vista The Old Man sembra essere una serie come tutte le altre, ennesima aggiunta al consistente calderone di spy-story e thriller che l’industria dell’intrattenimento rimescola.
Eppure quel “vecchio”, interpretato e sfaccettato da un buontempone come Jeff Bridges, ha ancora molto da dire. Non solo grazie ad un personaggio carismatico che ruota costantemente attorno ad un enigma identitario; non solo per una storia che gioca con vuoti e colpi di scena, che mette in scena un intreccio familiare per adombrare lo spinoso confronto tra Stati Uniti e mondo arabo. Quella di Dan Chase/Jeff Bridges è un racconto di spionaggio che parte da un paradigma classico per invertirne le retoriche, dimostrando per lunghi tratti una rara intelligenza decostruttiva. Il tutto condito da un omone attempato che qui e là le suona con sadica esperienza alle nuove leve. Perché si sa, gallina vecchia fa buon brodo.
di Lorenzo Procopio
The Watcher
The Watcher, la mini-serie di Ryan Murphy e Ian Brennan, in sette episodi racconta la storia (vera) di una famiglia di New York che si trasferisce in una tranquilla zona residenziale. Ben presto inizieranno ad arrivare minacciose lettere da parte di un misterioso uomo, “L’osservatore”, qualcuno che li spia ed è pronto a distruggere la loro quiete familiare. Potremmo classificarla come una serie tv ibrida, un thriller condito da componenti horror: l’orrore, però, non si riscontra nei classici jump scare o elementi sovrannaturali, bensì nell’avidità e nell’ossessione propria dei personaggi.
Colui che osserva la famiglia Brannock diventa allegoria dello “sguardo” di una società concentrata sull’apparenza della ricchezza. Dean Brannock è la rappresentazione di un uomo che vuole essere ciò che non può, e che sprofonda nella follia non appena cerca di farlo. Avidità e ossessione, dunque, sono due facce della stessa medaglia che definiscono il fulcro di The Watcher: la doppiezza del genere umano.
di Giulia Tranquilli