La terza stagione de La casa di carta è terminata con un cliffhanger: Nairobi viene colpita al petto da un cecchino e Lisbona viene catturata e creduta morta dal Professore, che sente lo sparo della sua finta “esecuzione”. Queste due micce portano a infrangere una delle regole auree della banda: non uccidere. Un lanciamissili viene quindi lanciato su un autocarro della Guardia Civil, facendolo saltare in aria. I guanti di velluto sono riposti in un cassetto e la guerra contro il governo spagnolo ora può davvero iniziare.
La quarta stagione della serie (trailer) conserva l’impianto narrativo delle prime tre stagioni, ma le sequenze dove il payoff precedeva il setup (ovvero scene dove le situazioni di panico e tensione venivano poi “anestetizzate” da flashback che ne mettevano in luce l’avvenuta pianificazione) si verificano solamente dalla seconda metà degli episodi. I riempitivi, che nelle prime due stagioni avevano una ragion d’essere in virtù di un sapiente mix di action, thriller, love story – alternato da trovate geniali e ben orchestrate – qui vengono accentuati, lasciando troppo poco spazio alla narrazione del presente e con troppi rimandi a situazioni passate tramite flashback che non concedono quasi nulla di nuovo al plot o ai personaggi.
Setup: la banda ha perso la capacità di ragionare razionalmente. Nairobi è sotto i ferri. Il gruppo si sta sfaldando sempre di più per via di dissidi interni. La polizia li sta braccando e la situazione è fuori controllo.
Il “Professore” ha perso la lucidità e non riesce ad elaborare piani alternativi per via un’emotività fuori controllo. Le regole della banda (come nelle stagioni precedenti) stanno via via scemando, in primis quella di non avere rapporti personali, e con esse la possibilità di portare a compimento il piano.
Una delle criticità più evidenti in questa stagione è la regressione evolutivo-psicologica dei personaggi: Rio non è più un genio dei computer, ed è tornato ad essere un ragazzino impaurito per via del trauma subìto in seguito alle torture. Tokyo e Palermo sono due bombe pronte ad esplodere, anche se in maniera diametralmente opposta: la prima vuole essere al comando e il secondo, per la sua brama di potere, dà immotivatamente il via al caos, facendo precipitare gradualmente gli eventi. Helsinki si è tolto definitivamente l’armatura di mercenario senza scrupoli ed è diventato il gigante buono del gruppo. L’animo di Denver media tra comportamenti psicopatici e crolli emotivi. Il “Professore”, seppur con molta difficoltà, ricomincia a giocare a scacchi, ad elaborare ulteriori piani e grazie allo sport (pugilato), a snebbiare la mente. Alla scia di antagonisti della banda avrà un’importanza capitale, oltre ad Alicia Sierra, il personaggio di Gandía (capo della sicurezza della Banca di Spagna). Come scritto, purtroppo quasi nessun personaggio evolve, sono quasi tutti bidimensionali e fermi alle stagioni precedenti, e questo si traduce nel fatto che non ci sia un vero e proprio arco dell’eroe vogleriano.
Per gran parte del loro iter, le 8 puntate della stagione non possiedono quella frenesia, quello stimolo elucubratorio del passato. Nella prima metà del tracciato il motivo narrativo non è portante, a vantaggio di dialoghi vuoti, eccessivamente sdolcinati e con azioni sceniche, incomprensibili, prevedibili e senza mordente. Il discorso fortunatamente cambia radicalmente nella seconda metà della stagione: azione, inseguimenti rocamboleschi, stalli all’americana, battaglie mentali alla Death Note tra il “Professore” e la polizia spagnola, faranno da cornice alle fasi finali della stagione.
Le tematiche de’ La casa di carta 4 sono diverse e alcune molto attuali. Quelle riferibili alle precedenti stagioni sono la giustizia sociale (già presente in un’altra serie spagnola, Élite), dove la banda sfida in maniera poderosa e destabilizzante lo Stato; il confine etico (il precario equilibrio tra ciò che è giusto e ciò che sbagliato); la spettacolarizzazione e ipermedializzazione della violenza e della morte (scena della bara). Di grande attualità sono invece le tematiche gender (subentra un personaggio transessuale), della violenza sugli animali e la Famiglia, intesa come legame derivato da un insieme di forti esperienze collettive.
Gli ambienti sono colorati sia con toni cupi e tetri, sia con atmosfere sacre leggere e giulive. La protagonista della stagione è ovviamente la Banca di Spagna, con i suoi sotterranei di ricchezza, dove incandescenti fornaci tolkieniane, protette da mitragliatrici browning, stanno fondendo oro; ma anche con i suoi luoghi inferici: un claustrofobico bunker alla Parasite, dove avverranno torture e ribaltamenti di fronte. Tra gli ambienti esterni ricordiamo la tendostruttura della polizia spagnola; il rifugio della banda (il monastero), dove ci sono i vari flashback con Berlino, e un tetto e un tribunale (che avranno un ruolo centrale nelle ultime puntate).
Dal punto di vista artistico-musicale, vanno ricordate le numerose referenze alla musica italiana: Umberto Tozzi, Ti amo. Franco Battiato, Centro di gravità permanente, eseguite in pieno mood da locura borisiana (la ricerca della locura negli Occhi del cuore in Boris 3) e i riferimenti alla cultura letterario-teatrale de’ Il Siglo de Oro: il Don Chisciotte di Cervantes).
La quarta stagione de La casa di carta è in definitiva un buon prodotto mainstream che parte con lentezza ingiustificata e poca pianificazione drammaturgica e che solo nella seconda metà trova una sua ben definita ragion d’interesse. La domanda batmaniana che ogni spettatore non potrà non farsi vedendola sarà sicuramente una: riuscirà la banda a portare avanti la regola aurea di non uccidere nessuno?
Voi non lo sapete, ma Netflix sì.