Correva l’anno 2010 e Gareth Edwards esordiva sul grande schermo con un’opera all’insegna della genuinità, Monsters. A questo piccolo gioiello seguiranno il valido Godzilla (2014) e il magnifico Rogue One (2016), prima che Edwards ci negasse del suo talento (maledetto dove sei finito). Destinato inizialmente a non avere seguito, l’eredità di Monsters viene raccolta nel 2014 da Tom Green con Monsters: Dark Continent (trovate qui il trailer). Il regista britannico dirige un sequel degno seppur inscritto in una cornice che circonda un terreno più sicuro e collaudato rispetto al predecessore.
Il film, reso disponibile recentemente su Amazon Prime Video, segue le vicende di un gruppo di amici della disastrata periferia metropolitana di Detroit. Arruolatisi in un corpo militare di spedizione per fronteggiare la dilagante minaccia aliena comparsa dieci anni prima, il gruppo viene inviato in missione in Medio Oriente. A svettare in primo piano è la guerriglia con i ribelli del posto (i richiami a Daesh sonno ovvi), mentre sullo sfondo il proliferare dei titanici alieni che oramai sono diffusi su tutto il globo. Su questa doppia possibilità di focalizzazione si consuma l’incontro-scontro tra le due realtà, quella umana dove tu-sei-come-me, e quella aliena, dove tu-sei-altro-da-me. Il gioco è quindi presto fatto, il quesito di fondo svelato: cos’è “altro” da me? E’ più aliena la creatura alta decine di metri e arrivata dallo spazio, o lo è quella armata fino ai denti che mi spara addosso in nome dei suoi fondamentalismi religiosi o democratici?
In Monsters: Dark Continent la domanda si insinua nei meandri primordiali della mente umana, assumendo i contorni di una psicosi dovuta alla discesa in un “cuore di tenebra” di stampo conradiano, che nella veste desertica aveva già trovato un eccezionale interprete nel capitano Martin Walker di Spec Ops: The Line (2012). Il film relega i mostri, quelli di facile additamento e immediata identificazione, ai margini delle inquadrature a danzare nell’orizzonte. Si stagliano solenni e disinteressati nel fondo dell’immagine nella loro veste di “altro”, mentre davanti ai nostri occhi si consuma la violenza della carne nei confronti della carne.
Se nella prima porzione di pellicola siamo sommersi dalle parole, dai discorsi frenetici che mal celano una nevrosi intima, ad acquistare inesorabilmente spazio è un arido silenzio seccato sui volti finiti per essere privi anche di lacrime. Fino ad un urlo conclusivo, eterno e non udito.