Cominciamo subito a scomodare l’Olimpo del Cinema di qualità americano con un nome che sembra lontano anni luce, se Sacha Baron Cohen dissacra la cultura americana ed il suo mondo intellettuale così farà l’autore di questo pezzo creando un paragone scandaloso che vuole suggerire il creatore di Borat come discepolo del film di Orson Welles Citizen Kane e dei capolavori di Charles Spencer Chaplin Modern Times e The Great Dictator.
Dopo avere lanciato questa provocazione è bene fare dei distinguo molto importanti. Il primo dettaglio da evidenziare è che contrariamente ai giganti citati Sacha Baron Cohen non dirige i suoi film, questa specifica mansione è sempre riservata ad altri collaboratori. Insomma non ha mai sentito il bisogno di controllare completamente il suo lavoro. Va però premesso che la sua natura autoriale si basa sull’essenza testuale dei suoi film essendo sia sceneggiatore che attore protagonista e relazionandosi così alla scrittura dalla sua preparazione alla sua recitazione in scena e delegando la confezione visiva ad altri professionisti. Dato che i suoi lavori sono sempre per metà documentazione di performance dal vivo (molto preparate) con conseguenze imprevedibili e per metà scene di finzione organizzate secondo le regole canoniche del cinema, può essere comprensibile la sua necessità di una regia esterna che venga in aiuto.
L’altro enorme distinguo è ovviamente il contesto storico e sociologico in cui opera Cohen che lo pone in una fase culturale dove la trivialità è un chiaro strumento espressivo nelle mani di un comico, una cosa impensabile ai tempi di Chaplin o Welles. Quello però che accomuna l’artista contemporaneo ai giganti è la capacità di sensibilizzare politicamente lo spettatore (più verso Chaplin) con storie semplici e dirette o di sfruttare il potere del mezzo cinematografico per schiacciare i calli ai potenti dell’impero americano (più verso Welles).
Se Borat: Studio culturale sull’ America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan si interrogava, fra una gag e l’altra, sullo sbandamento dell’America dopo l’undici settembre, il nuovo sequel (trailer) si concentra sulla questione femminile e su una presidenza repubblicana che più di qualunque altra sembra rappresentare una condizione di patriarcato capitalista bianco degna di un testo critico di Laura Mulvey o di Donna Harraway.
Per tutto il film Borat cerca di donare la propria figlia, la bravissima Maria Bakalova che lavora da protagonista alla pari del film, allo staff del Presidente Trump come gesto di amicizia fra gli Usa ed il Kazakistan. A tale scopo la ragazza riesce ad ottenere un’intervista con il Sindaco Giuliani (avvocato di Trump) fingendosi giornalista. La ragazza confida la sua giovane età invitandolo in una camera da letto in cui Giuliani assume una posizione fortemente compromettente. Cohen/Borat irrompe in camera prima che possa succedere altro lasciando però lo spettatore senza fiato.
Recentemente il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha definito Cohen “un impostore ed un verme” e sono termini che per un provocatore come lui saranno più o meno suonati come complimenti. Sappiamo che William Randolph Hearst non è stato più delicato ai suoi tempi su Orson Welles dopo aver realizzato che il film Citizen Kane era quasi una sua biografia non autorizzata Sappiamo tutti inoltre che alcuni americani influenti non sono stati più lusinghieri a proposito di Chaplin e dei suoi film sopracitati confondendo perfino la satira e la critica verso il nazismo come una forma di aggressione verso il capitalismo americano.
Il parallelismo con Chaplin e Welles funziona anche nelle scelte di criticare o scherzare con gli usi e costumi americani e nella consapevolezza che il cinema è ancora un mezzo potente per diffondere un pensiero e trasmettere un messaggio che esorbiti dal puro intrattenimento.
Esattamente come per Welles che amava giocare fra il vero ed il falso tanto alla radio quanto al cinema, anche per i film di Cohen il rapporto fra ciò che è recitato e ciò che è documentato si perde e si confonde costringendo lo spettatore a stupirsi ed interrogarsi sulla reale condizione mentale del cittadino medio occidentale. Il film Borat – Seguito di film cinema onora lo schema del primo capitolo della serie , traendo perfino insegnamento dal documentario civile americano di Errol Morris e Michael Moore ma anche dai cattivissimi ragazzi di South Park e dalla satira televisiva e teatrale americana degli anni 70′. La somma delle conoscenze storiche dello spettacolo satirico ed il loro uso mirato e analitico fanno del progetto un prodotto di discussione ed analisi anche quando sembra scadere nei livelli più bassi della comicità volgarotta. Il film, anche quando cade molto in basso riesce sempre a mostrare qualcosa di incredibilmente intelligente e ragionato in un perfetto e disturbante equilibrio, quasi alchemico, fra oro e… cacca.
Prendiamo come esempio una scena chiave del secondo film in cui Borat procura alla figlia vissuta in una gabbia (usanza immaginaria del suo Paese d’origine) la possibilità di partecipare ad un ballo di ingresso in società. La ragazza danza con il proprio padre agitandosi al punto da rivelare la sua biancheria intima macchiata vistosamente di sangue, potremmo credere si tratti di comicità volgare e a buon mercato perfino offensiva per il mondo femminile, ma in realtà quei balli di ingresso in società nel loro più arcaico passato erano davvero usati dal patriarcato come esibizione delle figlie femmine giunte alla fertilità e pronte per essere concesse al più facoltoso pretendente. La figlia di Borat che sbatte in faccia la sua fertilità agli altri partecipanti della festa è tanto uno sfregio satirico quanto una brutale analisi dell’antica natura dell’usanza del primo ballo, un concetto che trova conferma anche nella gag in cui Borat chiede ad un padre americano presente al ballo quanti dollari potrebbe valere sua figlia e per inciso riceve una stima scherzosa.
L’intero film si orienta sulla condizione della donna partendo con una soluzione demenziale e semplicistica ed arrivando alle ragazze che finiscono “offerte” a vecchi politici maturi per fare carriera oppure ottenere favori politici, un problema che riguarda tanto alcuni esponenti repubblicani quanto democratici e in fondo trova epigoni anche in Italia o in Europa.
Borat/Cohen non sarà mai l’eroe del #MeToo (finirebbe del resto per dissacrarne lo scopo appena possibile) ma dimostra di avere imparato come artista dall’America del suo tempo forse di più e meglio di chi la governa o almeno di alcuni amichetti di chi la guida e di saper fare politica così come sa fare cinema imparando dai giganti dell’Olimpo per raggiungere anche i più improbabili degli elettori.